E finalmente, dopo un Giro intero, sulle strade delle Dolomiti ci si riappropria della regola fondamentale del ciclismo, che impone, o per lo meno caldamente raccomanda, di attaccare e di staccare tutti gli altri.

Si deve ringraziare Covi che, intruppato nella fuga di giornata, molla il resto dei battistrada sulle prime rampe del Pordoi, scollina tutto solo sulla Cima Coppi, si butta in discesa senza mai voltarsi indietro, resiste alla rimonta degli altri reduci dell’evasione mattutina e trionfa in vetta alla Marmolada. E si deve ringraziare Hindley, australiano d’Abruzzo (per via dei suoi luoghi d’adozione ciclistica), che rompe l’idillio nella triade, sfrutta il lavorio un po’ sconclusionato di Landa e Carapaz, poi molla con decisione la sgradita compagnia e vola a vestirsi di rosa.

Partita la carovana da Belluno in direzione Marmolada, attendevano i ciclisti il San Pellegrino e il Pordoi, prima dell’ultima, dura salita. L’inizio non prometteva bene. Vanno via i soliti fuggiaschi, ormai certi dell’impunità, e si prende quindi a sonnecchiare. È del resto la marmotta l’animale totemico di qui (aquile, invece, assenti, a giudicare dal prosieguo).

Sul San Pellegrino, dove Zandegù dovette minacciare un prete di arrampicarsi a forza di bestemmie se non lo avesse spinto un po’, il gruppo passa in lenta processione. Il tran tran continua sul Pordoi, dove anzi, grazie all’azione di Covi, comincia ad esser chiaro che non saranno i big a giocarsi l’alloro di giornata.

Sulla montagna di Coppi inizia a prendere forma l’impresa di Covi, a modo suo, senza dar retta alla prudenza che gli consigliano attraverso le maledette radioline. Più indietro, si decide di rimandare tutto a dopo, sulla Marmolada. Solo che dopo questo dopo non ci sarà un altro dopo, e bisogna quindi andare. In quella si snodano due vicende singolarmente parallele. Si esaurisce l’azione degli uomini di Landa che proprio il basco ha la cera meno bella.

Prende quindi in mano la situazione Carapaz, ma in seguito al suo allungo è l’ecuadoriano ad esser sentenziato dall’ufficio facce. Allora Hindley, che nel frattempo ha trovato il suo Kamna per la strada, si fa tirare per un po’ e poi piazza l’affondo decisivo. Avendo anche la forza, ed è la prima volta in questo Giro, di rilanciare sui pedali dopo aver già fatto il vuoto. E non sarà un caso se, tra i membri della triade, è proprio per lui che si vedono scritte sull’asfalto a riprendere la sinuosità dei tornanti.
L’australiano d’Abruzzo si presenta così alla crono di Verona con un vantaggio rassicurante sull’omino del Carchi. Ma a Hindley non dite niente fino a sera, che ha già perso un Giro, due anni fa, all’ultimissima giornata.