Cosa abbiamo appreso dall’ennesimo caso di razzismo (o presunto tale) nel calcio italiano? Il giudice sportivo ha assolto il calciatore dell’Inter Francesco Acerbi dall’accusa di aver rivolto un insulto razzista al calciatore del Napoli Juan Jesus. Se trovato colpevole, Acerbi rischiava una squalifica di dieci giornate e un marchio infamante, soprattutto per un calciatore della nazionale alla fine della sua carriera (ha 36 anni). Secondo il giudice Gerardo Mastrandrea, un esperto di diritto della navigazione e dei trasporti, tra l’altro coordinatore dell’area «trasporti» per l’Enciclopedia Giuridica Treccani, l’insulto «risulta essere stato percepito dal solo calciatore ‘offeso’ (Juan Jesus), senza dunque il supporto di alcun riscontro probatorio esterno, che sia audio, video e finanche testimoniale». Niente prove, niente condanna, quindi. In linea di principio, sentenza ineccepibile.

Secondo il Napoli, tuttavia, le cose non sono così semplici. In un comunicato dai toni aspri la società di Juan Jesus ha detto: «Il signor Acerbi non è stato sanzionato. A questo punto il colpevole dovrebbe, per la ‘giustizia’ sportiva, essere Juan Jesus, che avrebbe accusato un collega ingiustamente».

Successivamente ha anche comunicato che non parteciperà più a campagne contro il razzismo promosse dalla Figc o dalla Lega Calcio. «Qualsiasi iniziativa contro il razzismo sarà fatta dal Napoli direttamente e non più per interposti enti, società o organizzazioni”.

La sentenza del giudice sportivo non è impugnabile, quindi Juan Jesus potrebbe adire le vie legali per non passare per un millantatore. Fino a qui i fatti, ma cosa ci insegna questa storia? Da un lato, lascia confuso il pubblico, che vede ridurre il razzismo a una battaglia legale tra chi ha detto cosa, e con quali intenzioni, e chi denuncia l’insulto. Si tratta il caso di razzismo come fosse il furto di una mela: hai le prove che la mela l’ho rubata io? Non le hai, caso chiuso. Eppure è stato lo stesso Acerbi (con prova video) a scusarsi con Juan Jesus dicendo «Scusami, non sono razzista». Cosa vuol dire non essere razzista? Chi decide cosa è razzismo oppure no?

Juan Jesus ha provato a farci capire, pubblicando una nota sul sito del Napoli. «Non capisco, davvero, in che modo la frase ‘vai via nero, sei solo un negro’ possa essere certamente offensiva, ma non discriminatoria. Non comprendo perché agitarsi tanto quella sera se davvero fosse stata una ‘semplice offesa’ rispetto alla quale lo stesso Acerbi si è sentito in dovere di scusarsi, l’arbitro ha ritenuto di dover informare la Var, la partita è stata interrotta per oltre 1 minuto e i suoi compagni di squadra si sono affannati nel volermi parlare».

Fino a non molti anni fa i calciatori neri subivano in silenzio la disumanizzazione che subivano dagli spalti e sul campo. Oggi non è più così. Le autorità sportive hanno gli strumenti per agire. L’attenzione del pubblico, anche a livello internazionale, è maggiore. Quello che manca, tuttavia, è troppo spesso la cultura per capire. Cosa sanno del razzismo Acerbi e il giudice sportivo? Le punizioni sono necessarie, ma ridurre tutto a prassi giudiziaria non aiuta a fare passi avanti.

  • Docente universitario, autore di «The Balotelli Generation. Issues of inclusion and belonging in Italian football and society»