Ha fatto discutere la notizia del ddl proposto dal senatore leghista Manfredi Potenti «Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere». Presentato in Senato in data 11 luglio (annunciato nella seduta del 16) è stato ritirato ieri, dopo che il suo stesso partito – a cominciare dalla responsabile alle pari opportunità Laura Ravetto insieme al capogruppo Massimiliano Romeo – si è dissociato dalla iniziativa «del tutto personale». Il testo del ddl non è disponibile, eppure gli stralci diffusi da adnkronos sono eloquenti: il corretto uso della lingua italiana non prevede il femminile delle cariche pubbliche. Ne abbiamo parlato con Maria Rosa Cutrufelli, scrittrice e attuale presidente del Centro Studi Alma Sabatini.

Si citano di divieti e neologismi. Eppure il genere femminile applicato a titoli istituzionali e cariche pubbliche ha una storia più lunga.
Quello che è più grave è non avere conoscenza di ciò che è stato fatto dal Senato stesso oltre trent’anni fa, in particolare dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che ha sostenuto un testo ormai famoso e alla base di tanti studi socio-linguistici: nel 1987 usciva infatti Il sessismo nella lingua italiana di Alma Sabatini, dove si davano delle raccomandazioni sull’uso della lingua italiana facendo presente quali sono le regole della nostra grammatica. Regole che nelle intenzioni di questo ddl mi sembrano sovvertite. Intanto perché si dovrebbe sapere che l’italiano non ha un neutro. Quindi neanche i titoli professionali lo sono, dato che la persona che li porta non è una creatura disincarnata. E nel momento in cui c’è una donna a ricoprire delle cariche la lingua italiana vuole che vengano declinate al femminile. La parola rettrice, d’altronde, veniva usata addirittura nel Medioevo. E tutti i cattolici sanno che la liturgia chiama la Madonna avvocata. Senza che nessuno muova delle osservazioni non pertinenti. Ecco, quindi mi sembra che si tratti più di una provocazione che di una proposta.

C’è un aspetto tecnico e grammaticale ormai indiscutibile – su cui anche Treccani o la Crusca non hanno dubbi. Il secondo punto è più politico: sono provocazioni che tuttavia tentano di confondere, con un certo astio, il guadagno che arriva dal movimento delle donne e dal femminismo.
È il bisogno di mortificare di nuovo e respingere ancora nell’ombra le donne, perché hanno conquistato una soggettività. Ed è sorprendente che il senatore, che ha solo 48 anni e non 100, si attardi sopra un problema che in qualche modo ha già avuto un suo riconoscimento politico e sociale. Così si bloccano anche i dibattiti e gli interrogativi delle soggettività emergenti. E si preferisce attaccare le donne, che con la loro forza hanno fatto capire ciò che diceva ormai molti anni fa Luisa Muraro, ovvero che la lingua batte dove la politica duole.

La discussione sugli argomenti sollevati dal ddl è attuale perché attiene ai ruoli che rappresentano un potere. Da una parte lo si vorrebbe diminuire o neutralizzare, dall’altra c’è chi, detenendolo, vuole essere chiamata al maschile. C’è libertà di autonominarsi, tuttavia si perde qualcosa?
Non c’è dubbio, perché il potere è stato per millenni sotto il segno del maschile. Quindi è chiaro che benché la grammatica preveda una differenza sessuale, molte donne preferiscano essere definite al maschile nei ruoli, professionali e istituzionali, perché secondo loro questo significa più autorità, pensano di potersi muovere più agevolmente facendo finta di essere uomini. Il problema è che poi in realtà non lo si è, anzi si diventa più deboli in questa auto-diminuzione.

In questo momento storico è ancora più importante ribadire l’eredità di Alma Sabatini. Quali sono le iniziative del Centro Studi da lei presieduto?
È necessario ribadire sempre il punto a cui siamo arrivate per andare oltre, e quindi la cosa che cerchiamo di fare è confrontarci con tutte le nuove domande che nascono nella società. Ciò che vogliamo è un confronto con il nuovo che emerge, senza però dimenticare da dove partiamo. I nostri Quaderni lavorano su questo, interrogandosi sulla interazione delle varie forme del linguaggio e della parola, che può essere scritta o parlata, quotidiana oppure letteraria, burocratica oppure creativa. In ogni caso molteplice, come i bisogni umani.