Difficile dire se gli epistolari, oggi affidati perlopiù alla comunicazione digitale avranno in futuro la stessa importanza che hanno avuto fino a oggi. Dal punto di vista degli studi umanistici, sono stati, perlomeno fino a tutto il Novecento, una fonte essenziale per la comprensione del pensiero degli autori di volta in volta studiati. Nelle lettere si trovano infatti spesso esplicitate, a seconda dell’interlocutore a cui sono rivolte, le intenzioni e le necessità che hanno originato le opere, il loro sfondo polemico, una versione talvolta più radicale o comunque meno ambigua di ciò che intendono sostenere, la radice esistenziale a partire da cui prendono forma.

La casa editrice Aragno ha intrapreso a partire dal 2022, sotto la cura di Giuseppe Raciti, la traduzione delle lettere di Hegel, strumento essenziale nella comprensione della genesi e dello sviluppo della sua filosofia. L’epistolario hegeliano era finora disponibile per il lettore italiano solo in forma parziale: nel 1972 Laterza aveva pubblicato una antologia delle lettere più importanti (Lettere, traduzione di P. Manganaro e V. Spada, prefazione  di Eugenio Garin); poi Guida aveva dato avvio (sempre per la cura di Manganaro) alla pubblicazione completa dell’epistolario, ma l’impresa si fermò al secondo volume (Epistolario I e II, 1983 e 1988).

La scelta del curatore dell’edizione Aragno è di non pubblicare la corrispondenza in entrata e uscita, ma solo lettere di Hegel con aggiunte quelle missive che provengono da personaggi ritenuti dal curatore (non senza, com’è  ovvio, qualche arbitrio) particolarmente significative (è il caso ad esempio di Hölderlin, Schelling, Goethe) o meno noti, ma contenenti questioni importanti  nelle vicende interne al pensiero hegeliano.

Il primo volume, uscito nel 2022, contiene le lettere che arrivano fino agli anni in cui Hegel è a Jena, dove lavora, scarsamente remunerato, come libero docente e dove si impegna nell’elaborare un nuovo sistema la cui pubblicazione è continuamente rinviata, finché non sfocerà, persino imprevedibilmente, nella scrittura della Fenomenologia dello spirito. Fra queste pagine, spicca lo scambio con Hölderlin – famosa la lettera del luglio del 1794 in cui il poeta si rivolge al filosofo scrivendo «tanto spesso fosti il mio genio» – e con Schelling, al quale Hegel si rivolge non solo per discutere questioni teoriche, ma anche nella speranza che il già affermato, per quanto più giovane, compagno di studi possa aiutarlo a trovare una qualche sistemazione professionale più stabile.

Ora giunge a pubblicazione il secondo volume delle Lettere (a cura di Giuseppe Raciti, Aragno, pp. 198, € 25,00), che si riferisce al cosiddetto periodo di Bamberga, fra il 1807 e il 1808: sono anni, per Hegel,  difficili e delicati. Viene pubblicata la sua prima grande opera filosofica, la Fenomenologia dello spirito, ma si vede costretto per motivi economici – l’appello rivolto a Goethe per farlo assumere come direttore del giardino botanico non era andato a buon fine – ad allontanarsi dall’ambiente accademico per accettare il lavoro di redattore della gazzetta locale, la Bamberger Zeitung. In questi stessi anni, inoltre, proprio in seguito alla pubblicazione della Fenomenologia, si rompe definitivamente l’amicizia con Schelling, che nell’ultima lettera inviata all’amico – il 2 novembre 1807 – si rammarica del fatto che nella Prefazione alla sua opera Hegel non abbia esplicitamente tenuto distinte le sue posizioni da quelle degli «scopiazzatori», che avrebbero della filosofia di Shelling diedero una versione macchiettistica. Pare che Hegel non abbia risposto, e così fra i due il rapporto si interrompe: come rivelano alcune lettere successive, Hegel non mancò di mandare i saluti all’ex sodale per interposta persona.

Sulle stesse posizioni di Klaus Vieweg, che al filosofo di Stoccarda ha dedicato una biografia di prossima pubblicazione anche in Italia (Hegel. Der Philosoph der Freiheit, Beck 2019) Raciti sostiene il carattere tutto politico dell’epistolario scritto negli anni di Bamberga: da un lato Hegel dà una valutazione decisamente positiva delle riforme napoleoniche e in generale della scossa ne può derivare una Germania dormiente; dall’altro lato c’è un’aspra polemica nei confronti dell’arretratezza tedesca e in modo particolare verso il cattolicesimo reazionario bavarese: «I principi tedeschi non hanno ancora compreso il concetto di una libera monarchia, né si apparecchiano a realizzarla – spetterà a Napoleone organizzare il tutto».

Per Hegel, l’attività giornalistica corrisponde alla sua vibrante attenzione nei confronti delle crisi e dei processi di trasformazione sociale e istituzionale, ma per altro verso, lungi dal rafforzare la sua indubbiamente potente passione politica, la indebolisce. Considerazioni via via più sferzanti sull’attitudine giornalistica a assumere i fatti senza indagarne né la genesi né le motivazioni attraversano alcune delle lettere più belle, in particolare quelle indirizzate al poeta e traduttore Karl Ludwig von Knebel. E vanno forse lette anche in relazione a uno dei pochi testi hegeliani del periodo di Bamberga, ovvero Chi pensa astrattamente?, dove – rovesciando un luogo comune – sostiene che il pensiero astratto è proprio dell’uomo incolto: per lui – dice Hegel con un esempio divenuto famoso – l’assassino che viene condotto al patibolo è solo un assassino: la sua umanità, la sua storia, persino il suo aspetto fisico, ovvero la concretezza dell’individuo, scompaiono e la sua complessità viene ridotta alla piattezza monodimensionale dell’astrazione.

Sia sul piano storiografico, sia su quello più decisamente filosofico, come pure su quello politico, le lettere indubbiamente più importanti di questi anni sono quelle con Friedrich Immanuel Niethammer, studente più anziano del famoso seminario di Tubinga (dove si erano formati e conosciuti Hegel, Hölderlin e Schelling) più tardi collaboratore di Fichte a Jena e negli anni a cui si riferisce l’epistolario consigliere scolastico centrale in Baviera, dove promosse una importante riforma dei ginnasî bavaresi, alla quale più tardi lo stesso Hegel in qualche modo contribuì. Durante gli anni di Bamberga, Niethammer è l’interlocutore principale di Hegel: scrivendogli, esplicita tutto il suo sarcasmo verso la grettezza bavarese e soprattutto esplicita le sue idee politiche, che guardano alla possibilità di una nuova costituzione per la Germania. L’epistolario con Niethammer è inoltre significativo perché dà la possibilità di cogliere concretamente il desiderio hegeliano di tornare agli studi filosofici: tutto il loro scambio si fonda, di fatto, sulla possibilità di vedere realizzata questa speranza, che si concretizzerà solo alla fine del 1808, quando a Hegel, proprio grazie all’interessamento dell’amico, viene affidato l’incarico di rettore e di professore di filosofia del Ginnasio di Norimberga.

Allora, le lettere hegeliane  (molte delle quali traversate da una strepitosa e sagace carica polemica) si fanno occasione per riflettere tanto sul concetto stesso di formazione – ad esempio esecrando la scomparsa della filosofia dai programmi di insegnamento universitario della Baviera –  quanto sulla strettamente correlata opportunità di scrivere un testo di logica per gli studenti ginnasiali: esplicitamente chiestogli da Niethammer, quel testo diventerà la base di un progetto che sfocerà, negli anni di Norimberga, nella Scienza della logica. In questa prospettiva, è di particolare interesse l’incrocio problematico e niente affatto scontato che Hegel discute in questa corrispondenza fra dimensione didattica e dimensione scientifica. Di fronte alla richiesta di Niethammer, Hegel prende tempo – «spero però che la richiesta non sia urgente e non comporti un sollecito disbrigo» – e dice al suo interlocutore che sta lavorando alla sua logica generale, della quale tarda a venire a capo: «sento che dovrò faticare ancora di più per padroneggiare l’argomento fino al punto da renderlo elementare; lei sa, infatti, che è più facile adottare uno stile incomprensibilmente sublime, anziché riuscire onestamente accessibili, e l’insegnamento che si somministra ai giovani, il modo in cui si porge la materia, sono l’ultima pietra di paragone della chiarezza». Ma la cosa è tanto più complessa, in quanto la logica a cui Hegel sta lavorando è del tutto non tradizionale: diventerà l’opera forse più importante (anche se non la più letta) di Hegel, certamente il caposaldo di ciò che egli intende con pensiero dialettico, ovvero speculativo.

Proprio l’avere in vista questo lavoro rende Hegel riluttante: lo scopo fondamentale di un manuale, scrive infatti, sta nel «contenere quanto è universalmente riconosciuto nell’ambito di una scienza… e nessuno sa più che farsene di questa vecchia logica; ce la trasciniamo dietro come un gioiello di famiglia, e questo soltanto perché non si dispone ancora di un altro surrogato, di cui però si sente universalmente il bisogno». Il problema, agli occhi di Hegel, è quello niente affatto scontato di come  «legare tra loro il vecchio, il passaggio al nuovo, cioè il negativo del vecchio, e poi il nuovo positivo che ne consegue». Non sono in campo solo determinazioni logiche: per Hegel, non soltanto sono inscindibili il piano logico e quello concreto, ma – soprattutto – dopo questi anni di immersione nella vita pubblica a Bamberga, egli è sempre più convinto che  «il lavoro teorico (…) è più attivo nel mondo che il pratico; tosto che il regno della rappresentazione è rivoluzionato, la realtà effettuale non regge più».