Stefano Sacchi, ex presidente dell’Inapp tornato a insegnare al Politecnico di Torino, come giudica la prima manovra del governo Meloni? La continuità con Draghi è una scelta o una necessità dovuta alla contingenza emergenziale fra guerra, caro energia e vincoli europei?
Nell’attesa del testo definitivo e basandosi solo su comunicati stampa e dichiarazioni, l’impressione è che si tratti di una manovra che ha dovuto mettere assieme tanti pezzi ereditati da Draghi e non fa altro che prendere tempo. Mi sembra calzante il paragone con il governo giallo verde M5s-Lega, altro governo che aveva gli occhi di tutti addosso. In quel caso la battaglia in Europa per portare il deficit al 2,4% fece perdere credibilità a quell’esecutivo, che poi rinculò sul 2,04%. In questo caso invece, anche per i chiari messaggi arrivati da Bruxelles con l’allerta sui conti pubblici, Meloni e Giorgetti sono stati molto attenti e responsabili verso l’Ue accontentandosi sul fronte interno di dare solo contentini al proprio elettorato, primo fra tutti la promessa elettorale contro il Reddito di cittadinanza. Senza dimenticare l’innalzamento della Flat tax.

Se i 21 miliardi di deficit sono stati usati tutti per il caro energia, tutte le riforme – compreso lo strumento che sostituirà il Reddito di cittadinanza – sono rimandate al 2024. A partire dalle pensioni.
Sì, sulle pensioni Quota 103 è l’ennesimo provvedimento ponte che coinvolgerà sempre meno lavoratori. Credo che inevitabilmente la riforma andrà nel senso di una “opzione tutti” sulla falsa riga di “Opzione donna”. Oramai tutti i pensionandi hanno una parte di assegno già calcolata con il sistema contributivo: si darà la possibilità a tutti di decidere se anticipare il pensionamento a 67 anni previsto dalla Fornero a 63-64 anni in cambio di un ricalcolo completamente contributivo della pensione. Ci sono state molte critiche sullo “sconto” previsto in Opzione donna per le madri con figli: faccio però presente che in Europa molti modelli prevedono crediti contributivi per i cosiddetti “caregiver”, coloro che in famiglia si prendono cura di anziani o figli e dunque dentro una riforma complessiva una norma di questo tipo avrebbe senso.

Stefano Sacchi


Lei da presidente Inapp si trovò in piena bufera “voucher” con il governo Gentiloni che dovette intervenire sul tema per evitare il referendum della Cgil. Che cosa pensa della norma che ora li reintroduce raddoppiando il tetto annuo da 5 mila a 10 mila e le aziende che possono usarlo da 5 quelle con 5 a 10 dipendenti?

Come Inapp analizzammo il problema e scoprimmo che esiste una richiesta genuina di lavoro discontinuo. Suggerivamo però di mettere paletti molto stretti per normarlo: in primo luogo una tracciabilità totale dell’utilizzo del “buono lavoro” e in secondo luogo tetti di utilizzo bassi. La scelta di raddoppiare a 10 mila e 10 dipendenti va invece in direzione opposta: apre a un utilizzo massiccio e deregolatorio.

Veniamo al Reddito di cittadinanza che lei studia anche come Alleanza contro la povertà: come si aspetta verrà riformato?
Il problema del Reddito di cittadinanza è che è fu presentato da Di Maio e Parisi come strumento contro la disoccupazione e invece considerato da Tridico in veste totalmente solidaristica: due estremi sbagliati. Come Alleanza contro la povertà pensiamo che il legame con il lavoro e la formazione di qualità sia decisivo.

Meloni e la destra però hanno promesso la cancellazione del Reddito ma ora si prendono un anno di tempo per trovare una soluzione.
Questo tempo spero serva per capire che è una follia togliere lo strumento alle persone cosiddette “occupabili”. Noi ad esempio proponiamo di mantenerlo anche per chi ha un lavoro stagionale da 2-3 mila euro (come sembra preveda anche questa legge di Bilancio) e di prevedere che fino a 8 mila euro (la no tax area) per ogni euro guadagnato si mantengono 40 centesimi del sussidio. In più per ovviare ai percettori che lavorano in nero, occorrono offerte di lavoro e corsi di formazione in orario di lavoro: se non ti presenti perdi il sussidio. Infine sul tema dei controlli ex-ante sui richiedenti: la digitalizzazione e l’accesso completo alle banche dati lo consentono ed è giusto farli. Ma allora deve valere per tutti: non solo redditisti, ma anche evasori.