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Haftar chiude scuole e moschee. Poi bombarda Tripoli

Haftar chiude scuole e moschee. Poi bombarda TripoliBombardamenti alle porte di Tripoli – Afp

Libia Oms e Onu chiedono la tregua per poter affrontare l'epidemia. Da Bengasi arriva la denuncia: gli zero casi dovuti alle carenze degli ospedali e alla corruzione diffusa. Ma il generale prosegue con la guerra 

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 20 marzo 2020

Sebbene non si registri ufficialmente nemmeno un caso, nella Libia lacerata da una violenta guerra civile il coronavirus è più di una semplice minaccia.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha messo nero su bianco i suoi timori martedì quando ha chiesto alle parti rivali libiche – il Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli riconosciuto internazionalmente e quello rivale di Tobruk in Cirenaica – di porre fine alle ostilità per «consentire alle autorità sanitarie nazionali e ai partner sanitari di rispondere alla potenziale diffusione del virus nel paese».

Sulla stessa lunghezza d’onda è la missione Onu in Libia (Unsmil): ha esortato le parti a una «tregua umanitaria» perché «il virus non ha affiliazioni e supera tutti i fronti di guerra».

Di fronte agli appelli internazionali e ai rischi di un ulteriore aggravamento delle condizioni umanitarie a causa dell’epidemia, le amministrazioni rivali di Tripoli e di Bengasi hanno promesso fondi ai servizi sanitari locali e applicato rigide restrizioni.

In Cirenaica il generale Haftar – capo dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl), braccio armato di Tobruk – usa il pugno di ferro per prevenire la diffusione del coronavirus. Il suo obiettivo non è solo sanitario, ma anche politico: legittimarsi agli occhi della comunità internazionale e del popolo libico come il solo leader capace di domare l’epidemia.

Chiuse moschee, scuole, porti, frontiere. Sospesi voli, sterilizzate le strutture pubbliche e annunciato il coprifuoco dalle 18 alle 6 del mattino. Formato anche un ente ad hoc (l’Alta commissione per la lotta al Covid-19) che avrà sede a Rajma, fuori Bengasi.

Al momento si registrano due persone in isolamento. In «quarantena precauzionale» si è posto Ahmed al-Mismari, portavoce Enl.

Più lento ad agire è stato il Gna che ha decretato solo quattro giorni fa lo stato d’emergenza che si è tradotto in una serie di misure restrittive.

Ma l’assenza di contagi nell’intera Libia non deve trarre in inganno: nel gigante nordafricano, infatti, le risorse e le strutture di rilevazione dell’infezione sono inappropriati.

«Gli ospedali non rispettano i più semplici standard internazionali nell’affrontare malattie del genere, il personale medico non ha formazione ed esperienza, per non parlare poi della diffusa corruzione amministrativa, della cattiva gestione e della mancanza di trasparenza», ha denunciato ad Agenzia Nova un funzionario del Centro medico di Bengasi che prevede un «disastro peggiore di quanto visto in Iran e Italia» se il coronavirus dovesse arrivare.

Anche perché la guerra continua indifferente agli appelli internazionali. Il Gna ha denunciato mercoledì l’uccisione a Tripoli di quattro persone (tre bambini e una donna) ad opera degli uomini di Haftar.

Sempre nella capitale, sono intensi gli scontri tra forze rivali sulla strada per l’aeroporto e nelle zone di al-Sadiyya e a Ramla.

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