C’è chi ha capito molto bene che i migranti possono essere una risorsa importante. Tra questi di sicuro figura il generale Khalifa Haftar che proprio grazie al fiume di barconi pieni di disperati che partono dalla Cirenaica da lui controllata, per tre giorni è stato accolto a Roma come se fosse un capo di Stato. Dopo il ministro degli Esteri Antonio Tajani (mercoledì) e la premier Giorgia Meloni (giovedì), ieri il generale ha visto i ministri dell’Interno e della Difesa, Matteo Piantedosi e Guido Crosetto. Niente male per un personaggio che non ha alcun ruolo istituzionale ma che negli ultimi tempi ha visto crescere notevolmente la sua influenza in Libia. A tutti il generale ha chiesto supporto e aiuti sotto forma di mezzi per la sorveglianza delle coste, insieme all’addestramento di personale per controllare i flussi migratori. Un sostegno che adesso dovrà essere deciso in uno dei prossimi consigli dei ministri insieme alla possibilità – che secondo la pagina Facebook del Comando generale delle forze armate arabe libiche Haftar avrebbe discusso con Crosetto – di creare «commissioni congiunte per monitorare e rendere sicuri i confini meridionali della Libia, al fine di rafforzare la sicurezza nazionale di entrambi i Paesi».

Dopo la cosiddetta Guardia costiera libica e quella tunisina, l’Italia si starebbe quindi preparando a sostenere un’analoga forza navale della Cirenaica. Del resto dopo la Tunisia sono mesi ormai che la regione orientale della Libia controllata dal generale amico di Egitto e Russia è diventata il principale punto di partenza dei barconi che attraversano il Mediterraneo. Dei 16.637 migranti arrivati dall’inizio dell’anno fino al 2 maggio dalla Libia (il 166% in più rispetto allo stesso periodo del 2022) circa diecimila sono partiti proprio da lì. Numeri che al Viminale conoscono bene e dei quali sicuramente Piantedosi ha discusso con l’ospite libico nell’incontro di ieri durante il quale, sempre secondo i libici, si sarebbe «discusso il meccanismo per consolidare le relazioni e la cooperazione tra la Libia e l’Italia nei settori della sicurezza, rafforzando la cooperazione nella lotta all’immigrazione clandestina e preparando programmi di formazione per individui ed elementi dei servizi di sicurezza». «E’ andata bene, sono soddisfatto», ha commentato al termine il ministro.

L’incontro con Haftar è l’ultimo tassello degli sforzi che l’Italia sta facendo in nord Africa per fermare i migranti. Sempre Piantedosi la prossima settimana sarà di nuovo in Tunisia dove incontrerà il suo omologo Kamel Feki. Mercoledì al Viminale si è tenuto un tavolo tecnico con funzionari italiani e tunisini che è servito anche per mettere a punto i dettagli del viaggio. Già oggi dalla Tunisia arriva la gran parte delle persone che sbarcano sulle nostre coste: ventiquattromila nei primi quattro mesi dell’anno. Per il governo Meloni un default della Tunisia potrebbe spingere decine e forse centinaia di migliaia di tunisini a decidere di abbandonare il proprio paese per arrivare in Italia. Un incubo per il governo Meloni già sotto pressione per l’alto numero di sbarchi.

Per di più reso sempre più probabile dal rifiuto del presidente tunisino Kais Saied di avviare le riforme chieste dal Fondo monetario internazionale per sbloccare un prestito fermo da ottobre di 1.9 miliardi di dollari. «Nessuno dall’esterno ha il diritto di obbligare lo Stato a fare ciò che il popolo non accetta, cosi come nessuna parte in Tunisia ha il diritti di agire contro la politica determinata dal presidente», ha ribadito anche ieri Saied. Un’ostinazione che nelle scorse settimane ha portato anche l’Unione europea a bloccare gli aiuti previsti se prima non si avvia il programma di riforme.

In questo scenario l’Italia ha scelto di mantenere il rapporto con la Tunisia anche attraverso nuovi finanziamenti. Solo due giorni fa il ministro degli Esteri Tajani ha disposto uno stanziamento di 10 milioni di euro, di cui 6.5 per ulteriori forniture di equipaggiamenti per i contrasto alle migrazioni irregolari