«La Striscia di Gaza sta diventando un cimitero per bambini»: lo ha detto ieri il Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che torna a condannare il massacro – un «incubo» – in corso. «Le operazioni di terra e i continui bombardamenti dell’Idf stanno colpendo civili, ospedali, campi profughi, moschee, chiese e edifici delle Nazioni unite». «Contemporaneamente Hamas e altre milizie si servono dei civili come scudi umani e continuano a lanciare indiscriminatamente razzi verso Israele».

ANCHE LA MISSIONE di Blinken in Medio oriente sembra concludersi con un pugno di mosche, nonostante il segretario di Stato Usa ci tenga a sottolineare, in riferimento all’allargamento del conflitto sinora scongiurato, come «alle volte il fatto che qualcosa di brutto non si verifichi non sembra la prova più evidente del progresso fatto, ma lo è». Ieri in visita ad Ankara, dopo le tappe di domenica in Cisgiordania – dove ha incontrato Abu Mazen – e in Iraq, Blinken ha avuto un colloquio di oltre due ore con il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan, mentre non ha significativamente incontrato il presidente Erdogan, che solo venerdì aveva attaccato il sostegno del governo statunitense a Israele. E durante i colloqui centinaia di persone hanno manifestato contro l’emissario statunitense fuori dal ministero degli Esteri.

Prima di imbarcarsi sul volo di ritorno dalla Turchia, Blinken ha detto ai giornalisti che la discussione con Fidan ha affrontato principalmente la necessità di «ampliare l’assistenza umanitaria a chi ne ha bisogno» e, ancora una volta, «gli sforzi per prevenire un’espansione del conflitto in altre parti della regione». Con la stampa, Blinken è però anche tornato a criticare i crimini in corso in Cisgiordania: «Siamo molto concentrati non solo su Gaza, ma su ciò che sta accadendo in West Bank. Abbiamo chiarito la nostra preoccupazione per la violenza estremista in corso» nella regione. Un riferimento anche alla proposta di pause umanitarie freddamente ignorata da Netanyahu: dopo aver sottolineato l’attenzione al rilascio degli ostaggi, Blinken ha aggiunto che «crediamo che una pausa potrebbe essere utile anche in tal senso».

Mentre il segretario era ad Ankara ancora un altro paese, il Sudafrica, richiamava il proprio ambasciatore da Israele, per protesta contro il «genocidio» in corso. Non solo: la ministra della presidenza Khumbudzo Ntshavheni ha minacciato ritorsioni contro l’ambasciatore israeliano a Pretoria per i suoi non meglio specificati «commenti denigratori» sulla posizione del Paese africano rispetto al conflitto in corso.

UN APPELLO al cessate il fuoco, al rilascio degli ostaggi e a una soluzione politica e diplomatica è arrivato anche da un gruppo di 35 organizzazioni ebraiche e arabe israeliane per i diritti umani – Fra cui Rabbis for Human Rights, Yesh Gvul, Women in Black. «In guerra non ci sono vincitori», scrivono. «In memoria degli uccisi e per il bene di coloro che sono ancora vivi dobbiamo lavorare insieme per porre fine alla guerra». «È evidente che non c’è una soluzione militare a questo conflitto, né mai potrà essercene una. L’unico modo per fermare lo spargimento di sangue è un accordo politico che garantisca sicurezza, giustizia, e libertà a entrambe le nazioni». G. Br.