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Guerra tra bande e donne a rischio, nell’inferno di Moria

Guerra tra bande e donne a rischio, nell’inferno di MoriaLa protesta nel campo di Moria – Stefano Stranges

Grecia Migranti feriti nel tentativo di difendersi dai furti. La notte a Lesbo scende il terrore

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 4 febbraio 2020
Federica Tourn MORIA (LESBO)

È guerra fra bande nella notte di Moria: nell’hot spot di Lesbo la notte fra l’1 e il 2 febbraio diversi migranti sono stati feriti, alcuni molto gravemente, in una rissa scoppiata in seguito a un tentativo di furto. Un ragazzo è arrivato al pronto soccorso del capoluogo Mytilene in stato d’incoscienza con una ferita al collo e almeno altre due ambulanze hanno fatto la spola fra il campo e l’ospedale. Si è trattato dell’azione di un vero e proprio commando, determinato ad approfittare del fatto che il primo giorno del mese i richiedenti asilo ritirano i 90 euro mensili messi a disposizione dal governo. «È stato terribile, è successo proprio vicino alla mia tenda, la strada era piena di sangue», racconta Fatima, una ragazza afgana di 24 anni. È soltanto l’ennesimo episodio di violenza sull’isola greca, dove ormai ogni notte si registrano accoltellamenti, alcuni letali: un ragazzo yemenita è stato ucciso lo scorso 18 gennaio e anche la notte scorsa ci sono stati nuovi feriti; si teme un altro morto, ma non ci sono ancora conferme ufficiali.

Intanto ieri mattina, 3 febbraio, una grande manifestazione di migranti esasperati ha tentato di raggiungere Mytilene per denunciare le gravi violazioni di diritti umani nel campo ma è stata fermata dalla polizia, che ha bloccato la strada principale con camionette e agenti in tenuta antisommossa. Nonostante il corteo fosse del tutto pacifico e guidato dalle famiglie con i bambini, i poliziotti hanno lanciato ripetutamente gas urticanti, bloccando anche i manifestanti che cercavano di arrivare in città passando dalle colline circostanti. Un uomo ha avuto un infarto e diverse persone si sono sentite male per l’effetto del gas.

Il livello di tensione ha ormai raggiunto livelli insostenibili: l’hot spot, pensato per duemila persone, oggi si trova a contarne ventimila, perlopiù accampate sulle colline di ulivi che lo circondano. Mentre il governo non escogita niente di meglio che proporre la costruzione di una diga galleggiante intorno all’isola per scoraggiare nuovi arrivi, a Moria donne, bambini, anziani, malati sono ammassati a decine sotto tende gelide, immerse nel fango e nella spazzatura, senza luce e acqua corrente. Le file per i pasti durano ore e possono rappresentare un pericolo, mentre andare in bagno con il buio per le donne è diventato impossibile a causa dell’elevaro rischio di stupri e di aggressioni. L’acqua per gli accampati sulle colline viene fornita solo la sera per pochi minuti, il cibo non basta per tutti e l’assistenza sanitaria è gravemente carente: una situazione inaccettabile e disumana, che ha portato qualche giorno fa l’ong Medici Senza Frontiere a dichiarare la crisi umanitaria.

Dopo la morte di un bambino a novembre 2019, oggi l’équipe pediatrica che opera di fronte all’hot spot accusa senza mezzi termini il governo greco di negare le cure adeguate ad almeno 140 bambini con malattie croniche e potenzialmente mortali. Dal luglio 2019, infatti, lo Stato ha cancellato l’accesso all’assistenza sanitaria pubblica ai richiedenti asilo, con le conseguenze che si possono immaginare. «Qualunque malattia tu abbia, che sia mal di stomaco o un problema più serio, medici e infermieri della clinica del campo ti raccomandano di bere acqua e al massimo ti mandano via con due pastiglie di paracetamolo», spiega Waled, un ingegnere emigrato dall’Afghanistan con la famiglia.

Quando il sole tramonta, comincia l’inferno sotto gli occhi degli agenti e dei militari che stazionano davanti al campo ma che preferiscono ignorare ciò che accade sulle colline, dove tanti ragazzi cominciano a bere e qualunque pretesto diventa buono per attaccare: «Di notte ci chiudiamo dentro ma non riusciamo a dormire per le urla degli ubriachi e il pianto dei bambini – racconta ancora Waled –. Meno di un mese fa un uomo è entrato nella tenda e mi ha puntato il coltello alla gola». Quella volta la battaglia è durata tre giorni e tutti si sono riversati sulla strada terrorizzati.

Eroina, crack, amfetamine, non manca niente sul mercato degli stupefacenti qui a Moria, sostanze che mischiate all’alcol producono un cocktail devastante di aggressività e disperazione negli abitanti di questa prigione a cielo aperto, dove chi entra non sa quando potrà uscirne, soprattutto ora che Atene ha deciso per un ulteriore giro di vite della politica sull’immigrazione. Mentre il 31 gennaio ha definitivamente chiuso il campo di accoglienza di Skala Sikaminias, a nord dell’isola, a Moria molti migranti si sono visti respingere la richiesta di permesso di soggiorno e dal 1° gennaio sono iniziate le deportazioni verso la Turchia delle persone giudicate senza requisiti per restare in Grecia. Ogni venerdì vengono organizzate le partenze dal molo di Mytilene e diverse persone, anche intere famiglie, sono state prelevate dalla polizia – alcune in piena notte, come è successo la notte del 1° febbraio, mentre era in corso la rissa – e messe in stato di fermo in attesa del trasbordo a Istanbul come previsto dal famigerato accordo firmato dall’Europa con la Turchia a marzo 2016.

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