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Guerra e disinformazione, «così i governi hanno manipolato gli attentati»

Guerra e disinformazione, «così i governi hanno manipolato gli attentati»Davanti al Bataclan, Parigi, novembre 2015 – LaPresse

Intervista Parla lo scrittore e giornalista belga Michel Collon: «Invece di promuovere un dibattito per comprendere le cause e le colpe, in Belgio e in Francia hanno chiesto ai musulmani di rinnegare il terrorismo, come se fossero loro i responsabili»

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 30 maggio 2018

«Il principale obiettivo dei governi è creare disinformazione per ottenere quel consenso che altrimenti non ci sarebbe tra l’opinione pubblica». Michel Collon, scrittore e giornalista belga, fondatore del collettivo Investig Action, autore del libro Je suis ou je ne suis pas Charlie? (in italiano con il titolo Effetto boomerang, Zambon editore), è specializzato nell’analisi della «disinformazione mediatica» su argomenti quali il fenomeno jihadista in Francia e Belgio o sull’analisi dei conflitti di questi anni dal Medio Oriente all’Africa.

È cambiato qualcosa nella libertà di informazione in Europa dopo l’attacco a «Charlie Hebdo»?

Per quel che conosco meglio, Francia e Belgio, penso che gli attentati delo 2015 a Charlie Hebdo al Bataclan siano stati manipolati dai governi. Avrebbero dovuto promuovere un dibattito per comprendere meglio le cause, analizzare le responsabilità degli Usa, della Francia e dei loro alleati. Al contrario governo e stampa mainstream hanno preferito nascondere le loro responsabilità, terrorizzando la popolazione, disinformando sul loro sostegno per le guerre in Libia e Siria, vietando dibattiti in televisione, richiedendo ai musulmani di “rinnegare” gli attentati come se fossero loro i responsabili, e non Washington e Parigi.

Nel suo libro parla di due pesi e due misure nella lotta allo jihadismo, visto che da un lato lo si combatte e dall’altro l’Europa fa accordi con Arabia Saudita e Qatar, principali sponsor dei gruppi jihadisti.

Questo meriterebbe, in effetti, il premio Nobel dell’ipocrisia. Non solo perché Arabia Saudita e Qatar sono i finanziatori locali, ma perché tutta l’operazione sull’«eurojihadismo» è stata voluta da Obama e Hillary Clinton. Il governo americano aveva paura, dopo i disastri di Bush in Iraq e Afganistan, di impegnare altre truppe Usa e così ha siglato un’alleanza con un ramo di al Qaeda in Libia e in Siria, affermazioni validate grazie alle fonti citate nel libro (L’ammiraglio Stavridis, comandante Nato in Libia e agenti dei servizi segreti francesi, ndr). La stessa Cia ha addestrato e fornito armi a questi “ribelli” nei campi di addestramento in Giordania. In Siria, come fece Brzezinski in Afghanistan nel 1979, Washington ha reclutato e addestrato miliziani provenienti da 40 differenti paesi con l’obiettivo di rovesciare il governo di Assad.

Perché così tanti attentati in Francia e Belgio?

La crisi economica europea ha provocato un “eccesso” di manodopera: i giovani dei quartieri popolari, a Parigi come a Bruxelles, ricevono ormai da anni un’educazione di bassa qualità, sono discriminati sul lavoro, nella vita quotidiana e dalla polizia. Il messaggio dell’economia capitalista nei loro confronti è chiaro: non ci interessa la vostra opinione su Israele o sull’Iraq, non abbiamo bisogno di voi, non siete veri cittadini, ma solo manodopera precaria. Questo no future ha creato nelle giovani generazioni una disperazione che si esprime bruciando auto, aderendo a organizzazioni fasciste o allo stesso Daesh.

Cosa si può fare quindi per combattere il fenomeno del jihadismo in Europa?

Fare esattamente l’inverso della politica governativa che ho descritto. Diminuire radicalmente il tempo di lavoro per creare maggiori opportunità occupazionali, eliminare le discriminazioni razziste a ogni livello, mettere fine alla censura nei media e promuovere un reale dibattito su temi sensibili: Israele, petrolio, guerre in Medio Oriente e in Africa. Combattere la militarizzazione e l’utilizzo di denaro per la produzione e l’acquisto di armi. Non si combatte la disperazione con i missili, ma con la giustizia sociale. È tempo di smettere di sostenere in Medio Oriente le monarchie retrograde e violente ed è ora di rispettare la sovranità dei diversi paesi per permettere loro di utilizzare le ricchezze nazionali come è tempo di mettere fine al colonialismo d’Israele.

Da diversi mesi si parla poco di Daesh…

Daesh è stato sconfitto non da Washington e Parigi, ma dall’asse Siria-Hezbollah-Russia. Ma anche se la sua minaccia è diminuita, è tuttora presente soprattutto in Francia. È stato Putin che ha contrastato le ingerenze occidentali e cambiato radicalmente il rapporto di forze sul terreno. La crisi economica, politica e morale, la diminuzione del dominio militare, la perdita dell’egemonia sull’informazione, tutto il sistema capitalista globale è in difficoltà. Le stesse forze progressiste sono in crisi visto che molte formazioni di sinistra hanno una visione colonialista e arrogante nei confronti dei popoli del Sud e sostengono le campagne militari e l’informazione mediatica falsa.

Qual è il livello di censura nella stampa europea riguardo alla situazione attuale in Medio Oriente?

Viviamo in un periodo di «propaganda di guerra» dove l’informazione è monopolizzata dalle multinazionali e dai loro governi, qualsiasi forma di informazione differente passa sotto silenzio o viene ridicolizzata. I media indipendenti su Internet vengono spesso denigrati e censurati. Macron e l’Ue preparano una legge contro le fake news e paradossalmente quelli che producono le fake news si mettono a combatterle. In Francia come in Belgio, è inquietante il clima di terrore intellettuale dove si calunniano e ridicolizzano quelli che cercano la verità dei fatti e che ascoltano tutte le parti in conflitto. Senza una mobilitazione popolare per esigere la libertà di dibattito, per proteggere e sostenere i giornalisti indipendenti andiamo verso un nuovo maccartismo: una massiccia azione di intimidazione e indottrinamento sociale e culturale. La guerra militare è sostenuta dalla guerra psicologica che le è fondamentale per supportarla e per creare consenso nell’opinione pubblica. Una guerra di aggressione non può che fondarsi sulle menzogne, di conseguenza il principale obiettivo dei governi e delle multinazionali è creare disinformazione tra la popolazione, attraverso i media mainstream. Da qui l’esigenza di creare una controinformazione indipendente e coordinata a livello internazionale.

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