La prossima settimana la Camera è chiamata a votare la pdl di Fratelli d’Italia che rende perseguibile all’estero la pratica della maternità surrogata, o gestazione per altri (Gpa), o brutalmente ma non senza efficacia utero in affitto. La questione anima e divide il mondo femminista, dunque vorrei spiegare, io deputata verde ed eco-femminista da sempre contraria alla Gpa, il mio voto negativo.
Su queste pagine Lea Melandri scrive che la Gpa «non può essere equiparata ad una tratta o ad una schiavitù», in queste forme già perseguita per legge. Dunque, resterebbe solo la maternità che la donna decide «autodeterminandosi»: chiedendo in prestito l’utero di un’altra, o donando il proprio. Ebbene, io credo che di mezzo ci sia un terzo e ingombrante incomodo, il «mercato», che rende assai pallida l’autodeterminazione, imponendo surrettiziamente la trasformazione del desiderio di maternità in un diritto assoluto. Senza le aziende della procreazione la maternità surrogata non esiste.
Non è solo il femminismo di ‘vecchia’ generazione ad accorgersi delle pesanti criticità di una pratica che, dove è consentita esclusivamente in termini solidaristici, è ben poco usata: trasversalmente la nostra società si interroga sulla ipoteca che tecnoscienza e profitti pongono sui nostri corpi.
Se il «femminismo delle nuove generazioni», citato da Melandri, ha una maggiore confidenza con tutto questo, ciò non esaurisce il sentire della nostra società e non esime noi che abbiamo sempre guardato al mondo con le lenti della libertà femminile e della liberazione da ogni sfruttamento del vivente, di cogliere il significato profondo di tutto ciò. Perciò diffido delle proposte sulla pratica solidaristica di «prestare» l’utero a chi non può esaudire il proprio desiderio di maternità e/o paternità. Anche se pervasa da buoni sentimenti, questa pratica non contrasta, ma liberalizza il business delle multinazionali della procreazione, apre alla procreazione per contratto e alla neo-colonizzazione della potenza materna.
Detto questo, la proposta di legge in questione, che io non voterò, è ammantata di una ideologia tradizionalista che santifica la famiglia tradizionale e colpevolizza le coppie omosessuali le quali, i dati lo dicono, sono quelle che meno fanno ricorso all’estero alla Gpa, pratica scelta da coppie etero (il 95%) alle quali più facilmente di quelle gay viene consentita la rapida trascrizione del figlio: come se il problema della trascrizione riguardasse solo le coppie gay.
Riguarda invece ogni coppia, e per ciascuna è bene una verifica scrupolosa in nome del bene supremo del minore: per questo il 30 dicembre la Cassazione ha ribadito la via dell’adozione «in casi particolari» per il genitore intenzionale. Il divieto di ricorrere anche all’estero alla Gpa, spacciandolo per reato universale, è inapplicabile in concreto, complicando la trascrizione delle creature innocenti – la cui soluzione doveva essere prevista da questa legge, magari eliminando anche le discriminazioni contro le coppie lesbiche che ricorrono all’estero all’eterologa, senza infrangere l’ordine pubblico costituzionale, che dovrebbero avere accesso alla trascrizione dell’atto di nascita della loro creatura senza ostacolo alcuno.
Infine, nel mio impegno di parlamentare non dimentico la pratica della trasversalità, seguita soprattutto da donne e che ci unisce in momenti decisivi in cui si può convergere verso lo stesso obiettivo, anche se si è in partiti differenti. Ma nel caso dell’attuale discussione parlamentare sulla pdl della destra non c’è alcun obiettivo comune che giustifichi una trasversalità che ingloba anche tutte le donne di governo.
Non può essere così, tant’è vero che si è vista la costrizione a ridicolizzare parole chiave del femminismo internazionale come «autocoscienza» e «autodeterminazione», sempre decisive per sottrarre le donne al gioco degli schieramenti della politica istituzionalizzata. A questo proposito, vorrei ripresentare qui anche la necessità di rispettare il dissenso di femministe radicali, come quello presente, ad esempio, nella Libreria delle Donne di Milano, presa sempre come un luogo dove vive un mucchio indistinto di seguaci, e dove invece esistono, pure nella radicalità, posizioni diverse soprattutto su temi divisivi, come la Gpa.
Inoltre, trovo insensato riproporre il «femminismo di Stato», tipico dell’attuale destra e di chi la appoggia, una destra di donne incapaci di espellere dalla vista del paese un tipo che da tutte le parti viene indicato come sessista, fascista, ecc. Rifare la verginità femminista a queste donne, dopo questo spettacolo offensivo, pare un po’ forzato. Fa pensare che sia strumentale tutto quello che sta accadendo in nome del femminismo inglobato da alcune, come fosse l’unico femminismo praticato invece da moltissime altre.
* deputata Avs