Raramente un tema è stato così divisivo nel nostro Paese. Avversato da quasi tutto lo spettro politico, il reddito di cittadinanza è stato additato dalla destra al governo come uno dei mali peggiori che hanno afflitto l’Italia. Accanto al governo hanno giocato i media.

Il livello di polemica è stato alto, con la partecipazione attiva della stragrande maggioranza dei media che si sono accaniti nel racconto di uno strumento abusato da migliaia di truffe che non ha fatto altro che disincentivare il lavoro.
Le diverse forze politiche in campagna elettorale ne avevano chiesto l’abolizione o una profonda revisione, nessuno però, tranne rare eccezioni, sembrava aver letto i diversi lavori di approfondimento prodotti sul tema.

A PARTIRE DALLE PROPOSTE del comitato di valutazione del Rdc presieduto dalla professoressa Saraceno, fino al rapporto Caritas o l’Alleanza contro la povertà oppure ancora le audizioni in Commissione lavoro alla Camera e al Senato di A.N.NA. l’associazione dei navigator che del reddito di cittadinanza sono stati indubbiamente attori di primaria importanza.
Ma non ci si è fermati solo a questo: ancor più grave è stata la demonizzazione continua dei percettori del reddito accusati di essere fannulloni, scansafatiche, furbetti, divanisti.

Non si è avuta la premura di consultare i dati Anpal e Inps che raccontano una realtà diversa: il 70% dei beneficiari hanno un livello di scolarizzazione molto bassa, terza media o quinta elementare, non hanno lavorato, se non per brevissimi periodi, negli ultimi 3 anni e quando lo hanno fatto è sempre stato in settori a bassa professionalità. Inoltre spesso hanno grosse lacune digitali e non possiedono alcun mezzo di trasporto.

COME È FACILE immaginare queste persone non lavorano per colpa propria ma semplicemente l’attuale mercato del lavoro non è interessato a queste figure. Poche aziende sarebbero disposte a scommettere su di loro e dopo la campagna di delegittimazione che hanno subito i percettori, il livore sociale diffuso di certo non aiuta un eventuale reinserimento lavorativo.
Ed è questo atteggiamento sicuramente il più deplorevole: criminalizzare un’intera platea di individui quando si rimane zitti nei confronti di ben altre categorie molto più insidiose come gli evasori fiscali o un discorso nei confronti delle mafie presenti nel nostro Paese completamente assente dal dibattito nazionale.

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Oggi il governo rivendica la scelta di voler ridurre le mensilità del 2023 da 12 a 8 per tutti i percettori “occupabili” per poi eliminare del tutto il sussidio nell’anno successivo. Giova ricordare che il reddito di cittadinanza viene assegnato al nucleo familiare e non al singolo richiedente per cui non è chiaro come una famiglia, dove realisticamente avremo componenti “occupabili” e “non occupabili”, potrà accedere al sussidio.

ANCORA DI PIÙ non è chiaro cosa si intenda per “occupabili” visto che si tratta di una caratteristica solo formale. Non si è affrontato alcuno dei problemi strutturali del nostro sistema delle politiche attive che dovrebbero supportare nella ricerca di una nuova occupazione: una governance confusa che interessa il Ministero, le Regioni, l’Anpal, i Comuni senza un’interfaccia comune digitale per cui questi soggetti tra loro “comunicano” poco e male; un sistema della formazione affidato alle Regioni che troppo spesso è mal collegato al mondo del lavoro; una mancanza, soprattutto nel meridione, di un coinvolgimento delle aziende.

NELLO STESSO TEMPO, ciliegina sulla torta, non si rinnovano i contratti dei navigator sguarnendo ulteriormente i Centri dell’impiego i cui concorsi, in alcune regioni, non sono neanche partiti e, dove sono stati effettuati, non si è riusciti ad assumere il fabbisogno preventivato. Se, come da retorica, gli “occupabili” devono lavorare, come si pretende che vengano aiutati quando non investi nelle strutture preposte a farlo come i Centri per l’impiego?

Si dirà che ci sono i privati. Una retorica altrettanto falsa considerando che le agenzie private nel Mezziogiorno sono pochissime e anche dove hanno radicamento mostrano scarso interesse a occuparsi di utenti i cui gap formativi e professionali li rende poco attrattivi per il mercato.
DA NAVIGATOR ho imparato che la povertà merita rispetto perché non è una colpa e perché la dignità di un individuo non si misura da questo. L’umanità diffusa che ho conosciuto mi ha mostrato un mondo che facciamo finta non esista eppure c’è e il reddito di cittadinanza, pur con i suoi limiti, è stato un necessario strumento di protezione sociale il cui legame con il mondo del lavoro può essere sicuramente rafforzato ma senza immiserire né i percettori né chi li aiuta quotidianamente.

In questi anni ho avuto il privilegio di incontrare alcune centinaia di utenti, la stragrande maggioranza erano persone che per un inciampo della vita si erano trovati in difficoltà e non erano più riusciti a uscire da un circolo vizioso che tende ad autoalimentarsi.
Persone i cui bisogni, prima ancora che meramente lavorativi o formativi, necessitavano di credere nuovamente in se stessi, sentirsi cittadini nel senso più ampio del termine. Il contrario di quello che questo governo gli sta offrendo.

 

*Ex Navigator