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Gorka, l’anticomunista ungherese nella stanza dei bottoni di Donald

Gorka, l’anticomunista ungherese nella stanza dei bottoni di DonaldSebastian Gorka – LaPresse

Stati uniti Ha lavorato nel governo di Orban, iscritto a un ordine cavalleresco filo-nazista. Consigliere del presidente: c’è lui dietro il Muslim ban: «Accettiamo di essere una nazione cristiana»

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 1 marzo 2017
Luca CeladaLOS ANGELES

«Dobbiamo renderci conto che il campo di battaglia dell’Isis  inizia quando uscite di casa il mattino». Nella rosa di eminenze grigie che compongono il «gabinetto ombra» di Donald Trump, c’è l’autore della frase di cui sopra.

Un enigmatico anglo-ungherese con obliqui legami ad un ordine cavalleresco originalmente inserito nell’elenco di organizzazioni filo-naziste del dipartimento di stato.

SEBASTIAN GORKA è un componente di quel novero di persone entrato nella struttura decisionale a seguito dell’attività di Steven Bannon e quindi parte del gruppo parallelo di consiglieri estremisti con influenza sul consiglio nazionale di sicurezza, l’organo che decide come e quando gli Usa entrano in guerra.

Anche Sebastian Gorka proviene dalla scuderia neofascista di Breitbart  News dove era stato reclutato da Bannon come «national security editor». Nell’amministrazione ha rilevato la pratica «anti-islamofascista» come ama egli stesso definire l’infaticabile opera per mantenere viva la psicosi terrorismo già alimentata da Trump nella sua campagna elettorale.

Gorka ha contribuito a formulare il bando ai rifugiati e musulmani implementato un paio di settimane fa (e destinato ad essere riproposto a breve) e fin dalle prime settimane è stato promosso ad uno dei principali portavoce, spedito a tenere la linea nei talk show solidali della Fox e a dettarla a quelli «nemici» della «stampa disonesta».

IL SUO ARGOMENTO FISSO è la guerra totale al terrorismo come pilastro centrale della politica contemporanea. È un tema che lo ha ben servito lungo una carriera costruita sul florido business di «consulenza antiterroristica» esploso dopo l’11 settembre.

Figlio di un dissidente anticomunista ungherese  fuggito a Londra dopo il 1956, Gorka si arruola dopo gli studi nell’intelligence corps dell’esercito inglese prima di tornare in Ungheria per lavorare nel ministero della difesa del governo di Viktor Orbán.

Nel 1997 è a Roma per una permanenza al Nato Defense College alla Cecchignola. Poco dopo frequenta per un periodo Harvard ed in seguito il Rand Institute di Santa Monica, storico contractor e think tank per i servizi americani . È, come si dice, un’azienda che tira e l’attacco alle Torri gemelle farà la fortuna sua e di sua moglie – l’ereditiera siderurgica americana Katherine Cornell – con cui fonda il Threat Knowledge Institute, fornitore di consulenze anti-jihad per forze dell’ordine e per il Socom, il comando delle forze speciali americane cui Gorka impartisce lezioni e seminari di «psicologia jihadista» e tecniche di «guerra asimmetrica».

Come parte dello Strategic Initiatives Group, la cabala «strategica» presieduta da Bannon dentro la casa Bianca, Gorka ha ora facoltà di applicare la considerevole esperienza in guerra psicologica agli stessi cittadini americani.

Dato che come ha egli stesso sostenuto di recente «l’80% di questa guerra  sarà combattuta nella mente e sul terreno dei media».

E nella «decostruzione dello stato amministrativo» – come Bannon ama eufemisticamente definire l’assalto frontale alle istituzioni democratiche – il ruolo di Gorka è di demolire il «falso pudore» dell’occidente «giudaico e cristiano» nello scontro di civiltà in cui è impegnato.

COME PER LA GUERRA AI POVERI e ai deboli (abolizione del welfare), come quella agli immigrati (pulizia etnica) e alla stampa (censura e fake news) si tratta nel caso specifico di applicare i precetti Alt-right sull’intensificazione dello scontro attraverso  la proscrizione e la caccia alle streghe.

Da qui l’insistenza sulla «definizione del nemico» in nitide categorie e la critica ripetuta da Trump, e ora da Gorka, sulla necessità di ricorrere alla definizione di «terrorismo islamico radicale».
Potrebbe sembrare un vezzo semantico ma come ogni buon inquisitore Gorka riconosce il potere dei simboli e degli incantesimi per fomentare la paranoia e prevalere sulla ragione.

LE GUERRE secondo Gorka si combattono più efficacemente con un arsenale di odio. Gorka, accusa le precedenti amministrazioni (Obama, ma anche i neocon) di non aver avuto il coraggio di «militarizzare» l’ideologia a servizio della vittoria.

Nelle sue pompose elucubrazioni televisive ricorre il concetto orwelliano della apostasia come unica vera definitiva vittoria sul nemico islamico. La jihad deve essere combattuta con la jihad.

«NON MI FRAINTENDETE» ha spiegato di recente in una critica alle uccisioni mirate di Obama. «Uccidere i terroristi  è fantastico, ne sono il primo fautore. Ma per vincere davvero occorre delegittimare gruppi come lo Stato islamico».

Eppure per tutte le ripetute promesse di cancellare lo stato islamico dalla faccia della terra, al momento latita un qualsiasi accenno a  una effettiva e praticabile strategia geopolitica da applicare in Medio oriente che vada oltre gli slogan ed alla creazione di un truce apparato di polizia preposto alla perquisizione di telefonini in dogana.

Perché  l’obbiettivo primario è semmai quello di generare una mutazione nella psiche della popolazione mediante un livello costante di pubblica psicosi.  L’emergente stato d’assedio – ad esempio – comprende la trasformazione del Department of Homeland Security in nuovo organo antiterrorista, denominato Countering Violent Extremism, preposto esclusivamente ad occuparsi del «terrorismo islamico» a servizio della difesa della patria.

Aggiornamenti in altre parole di tattiche collaudate da J. Edgar Hoover, ripescate dagli anni più torbidi del «secolo americano» e applicate ora ad una società molto più multiculturale e quindi potenzialmente assai più volatile.

LE PSICOSI alimentate ad arte su crisi immaginarie (l’imminente invasione delle orde che premono sul confine meridionale, le cellule islamiche dormienti pronte ad entrare in azione nelle città d’America) sono giustificate secondo Gorka dalla apocalittica difesa della civiltà occidentale.

L’ossessiva passione per la «superiore tradizione» giudaico-cristiana lo lega strettamente  Bannon e a figure come Nigel Farage e ad ambienti cattolici integralisti.
«Dobbiamo accettare il fatto che siamo una nazione cristiana. Possiamo aiutare gli altri ove possibile ma questo non equivale ad un contratto per un suicidio nazionale».

È una fede che Gorka  persegue con lo zelo dei convertiti (ha ottenuto la cittadinanza americana nel 2012) e di certi anti comunisti est-europei.

IL FALCO TRUMPISTA (prosciolto lo scorso mese da un processo per aver cercato di imbarcarsi armato su un aereo) nel giorno dell’insediamento di Trump si è presentato a un intervista sulla Fox nell’alta uniforme dell’ordine di Vitéz, con l’anello e la medaglia dell’ordine cavalleresco creato nel 1920 per «la difesa dell’onore d’Ungheria» da nostalgici austro ungarici e collaborazionisti e tuttora guidato da un erede Asburgo – l’arciduca  Joseph Árpád Von Hapsburg.

Sottili collegamenti che pongono Gorka all’incrocio dell’«industria islamofoba» e di una vaga massoneria vicina alla destra nostalgica ed etnonazionalista europea.

Ambienti che oggi possono contare su un degno ed influente portavoce  accanto al presidente degli Stati uniti.

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