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Goethe e Schiller, un sodalizio tra duellanti

Goethe e Schiller, un sodalizio tra duellantiDal «Faust» di J. W. Goethe, messo in scena da Bob Wilson con il Berliner Ensemble, Berlino, 2015. Foto di Lucie Jansch

Romanticismo tedesco Pubblicato da Goethe negli ultimi anni, per farne un dono «ai tedeschi e forse all’umanità», il «Carteggio» con Schiller è il monumento di una stagione: ora tradotto integralmente, il volume inaugura la collana «Etigo», dell’Istituto Italiano di Studi Germanici insieme a Quodlibet

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 20 novembre 2022

Ormai prossimo alla vecchiaia, in un breve testo autobiografico Goethe ricorda lo sgomento provato una trentina di anni prima, al ritorno dal viaggio in Italia. Dopo un’assenza di quasi due anni si era sentito profondamente isolato, anche perché in Germania furoreggiavano opere letterarie che lo «ripugnavano in modo particolare». Tra queste, i Masnadieri del giovane Schiller, che avevano inondato il pubblico tedesco con «paradossi etici e teatrali». Nello stesso volgere di tempo, Schiller confessava a un amico di provare certo ammirazione per il talento di Goethe, ma di trovarlo una persona «odiosa», un egoista ricolmo soltanto di «amor proprio».

Non erano le migliori premesse per lo sviluppo di un’amicizia. O forse fu proprio quella reciproca ostilità a favorire, qualche anno dopo, la nascita di un legame particolarmente intenso. Di certo, il ricordo della propria iniziale avversione servì a Goethe come premessa retorica per esaltare retrospettivamente l’immenso valore di quell’amicizia, un Felice evento, come recitava il titolo di quella miniatura autobiografica con cui rievocava il primo incontro con Schiller, nel 1794. A testimoniare nei dettagli lo sviluppo del sodalizio è il fitto scambio epistolare che di lì si sviluppò tra i due poeti. Tutt’altro che un documento privato, le lettere sono il monumento di una stagione culturale difficilmente ripetibile nella sua ricchezza, e furono pubblicate dallo stesso Goethe negli ultimi anni di vita, con l’intento di fare un dono «ai tedeschi e forse all’umanità». Ancor più che le singole opere scritte dai due autori in quegli anni è infatti il carteggio a racchiudere l’essenza del progetto culturale che porta il nome di Weimarer Klassik.

Quel testo è ora finalmente accessibile al lettore italiano nella sua interezza, grazie alle cure di Maurizio Pirro e Luca Zenobi (Johann Wolfgang Goethe – Friedrich Schiller, Carteggio 1794-1805, Istituto Italiano di Studi Germanici/ Quodlibet «Etigo», pp. 991, € 60,00), a inaugurare una collana che raccoglierà «edizioni e traduzioni integrali di grandi opere», e destinata, date le premesse offerte da questo primo volume, a diventare un punto di riferimento nel panorama editoriale italiano. Un bel saggio introduttivo e le puntuali note di commento illustrano il significato delle singole lettere e dell’epistolario nel suo complesso, e d’altra parte le traduzioni – Pirro ci restituisce la prosa essenziale ed elegante di Goethe, Zenobi segue Schiller nelle sue complesse argomentazioni – riescono nell’intento di rispettare le differenze stilistiche dei due autori.

Nel tono delle singole lettere si rispecchia quella alterità dei due poeti, che avrebbe offerto a generazioni di lettori una schema interpretativo di indubbia suggestione: nell’incontro tra la plastica sensibilità di Goethe e la tendenza all’astrazione di Schiller si volle riconoscere, infatti, l’espressione di una polarità ostinatamente presente nel pensiero dell’epoca, per esempio nelle coppie opposte e complementari della grazia e della dignità, del bello e del sublime, dell’ingenuo e del sentimentale. Una simile interpretazione, che talora arrivò addirittura a dividere il pubblico in tifoserie, lasciò traccia di sé anche nei monumenti dedicati ai due poeti, come quello di Weimar, il più celebre: lo sguardo si Schiller sembra puntare a celesti lontananze, mentre quello di Goethe è rivolto alla realtà terrena. Ma leggere il carteggio alla luce di questo dualismo finirebbe per «relegare in secondo piano alcune questioni decisamente più essenziali» e cioè in primo luogo quella «elaborazione assai dinamica […] di idee e concetti» – scrivono i curatori – che spesso si traduce nella ricerca di effetti ben lontani da quelli tradizionalmente associati al classicismo, come «lo shock, lo spaesamento, il disorientamento».

Non soltanto le lettere evidenziano come due indoli così diverse siano andate completandosi con esiti proficui nell’elaborazione delle loro maggiori opere, dal Meister al Wallenstein fino al Faust, ma soprattutto permettono di cogliere una comune propensione verso la militanza intellettuale, a tratti violenta e a stento dissimulata dietro il disinteresse per l’attualità politica. Non poteva darsi altrimenti, giacché il legame tra i due poeti nacque all’indomani della Rivoluzione francese e per molti tratti è una risposta alle più traumatiche conseguenze di quell’evento. Del resto, il classicismo di Weimar non è mai un banale ripiegamento verso ideali neoclassici, e si rivela piuttosto un’esperienza decisiva per molta letteratura moderna. Sebbene i due massimi poeti della letteratura tedesca sembrino attestarsi su posizioni illuministiche e sull’idea di una universale Humanität, non mostrano alcuna intenzione di esercitare un’illuministica tolleranza nella propria attività critica o nelle campagne polemiche espresse negli Xenia, la raccolta di epigrammi.

Nelle loro lettere guardano dunque con irritazione alla «singolare forma di tolleranza» che Herder avrebbe riservato anche alle produzioni letterarie più mediocri e preferiscono menar fendenti a destra e a manca: «lo abbiamo sistemato bene, ma dovremo ancora rincarare la dose», scrive Schiller a proposito di Johann Friedrich Reichardt e delle sue simpatie giacobine; mentre a Leopold von Stolberg, che dagli ardori giovanili stava regredendo verso la più ottusa bigotteria, andava impartita «la lezione che merita». Un simile atteggiamento, il cui programmatico compendio è là dove Goethe afferma che in letteratura vale «il diritto del più forte», non mancò di indignare chi ancora riponeva fiducia in una sfera pubblica letteraria ispirata all’idea della Répubblique des lettres, che fosse a modello per una compiuta opinione pubblica. Ma proprio l’abbandono di molte illusioni settecentesche rende il carteggio tanto più rappresentativo per le stagioni future, mostrando un Illuminismo fatalmente costretto a tradire i propri principi nell’agone della modernità. E se d’altronde il tentativo di salvaguardare l’arte dai più immediati interessi politici non trovò seguito nel pubblico del tempo, determinando il sostanziale fallimento del progetto culturale di Goethe e di Schiller, esso avrebbe finito per condizionare il cammino delle generazioni future, a cominciare dal Romanticismo e almeno fino alle avanguardie novecentesche.

Le contraddittorie tensioni che animano questo carteggio assumono un valore paradigmatico per la moderna letteratura: sia che si tratti di proclamare, con gesto analogo ai due poeti, il carattere impolitico dell’arte, salvo poi ritrovarsi coinvolti nella realtà del proprio tempo, sia che con esplicito rifiuto della poetica classicistica di Goethe e Schiller, si cerchi di fiancheggiare un rivolgimento politico, salvo poi ritrovarsi a lamentare il sacrificio della propria poesia e forse della poesia tutta.

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