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«A Beirut gli ospedali non reggono il ritmo delle vittime. Clima di ansia e paura»

«A Beirut gli ospedali non reggono il ritmo delle vittime. Clima di ansia e paura»

Libano Parla Virginia Sarotto di Arcs. Tra Beirut, Tripoli e la valle della Bekaa promuove la cooperazione internazionale a sostegno delle comunità locali più marginalizzate

Pubblicato 6 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

Virginia Sarotto lavora in un piccolo ufficio di Beirut assieme a tre colleghe libanesi. È una collaboratrice di Arcs, associazione di promozione sociale di solidarietà, cooperazione e volontariato internazionale, fondata dall’Arci e presente in Libano dal 2014. Il suo lavoro, tra Beirut, Tripoli e la valle della Bekaa, si concentra principalmente su tre aspetti: educativo, nelle carceri e sul sistema penitenziario, e supporto allo sviluppo economico delle comunità più marginalizzate.

Qual è la situazione del sistema sanitario in Libano in questi giorni?

Da martedì pomeriggio, quando c’è stata la prima esplosione, gli ospedali sono stati affollati a ondate, è stata una marea. Già il sistema sanitario è molto affaticato, perché il Libano è un Paese in cui i fondi pubblici sono scarsissimi e quindi la sanità è quasi tutta privata. Quella pubblica non riesce a reggere il ritmo dei bisogni già normalmente, quindi possiamo immaginare i disagi quando in un giorno, nel giro di un’ora, ci sono 3.000 feriti e 9 morti. Il giorno successivo, dopo un altro attacco, i feriti sono aumentati di altre 500 – 600 persone e i morti sono arrivati a 32. Gli ospedali di Beirut erano pieni anche fuori di famiglie che aspettavano notizie dei propri cari. Le esplosioni hanno menomato molte persone: sono stati effettuati molti interventi delicati agli occhi. Chiaramente è stato estremamente provato il sistema medico, così come le ambulanze, che per tutto il giorno chiedevano di donare sangue e di non intasare le strade per favorire i soccorsi.

Il grande numero di libanesi feriti a seguito degli attacchi su cercapersone e walkie-talkie sta causando disagi di affollamento negli ospedali e come stanno affrontando l’emergenza?

A Beirut le esplosioni sono avvenute quasi tutte in una zona, però tutti gli ospedali della città hanno aperto le porte. Da un lato può sembrare scontato, ma siamo in un paese in cui ci sono anche forti contrasti tra gruppi. I quartieri sono spesso connotati in senso politico religioso. Invece attraverso l’accoglienza e l’assistenza medica si è vista una solidarietà tra tutti i cittadini. Non è sicuramente la prima volta, però è avvenuto in modo più evidente rispetto ai bombardamenti su target militari. È stato un attacco ai civili, quindi si va oltre l’appartenenza religiosa. Le esplosioni sono avvenute in mezzo a un mercato e potevano colpire chiunque. Per questo ci sono avvocati che dicono che si tratta di un atto di terrorismo contrario alle leggi internazionali. Perché non c’è modo di sapere se questi dispositivi scoppieranno in mano a un bambino o al logista dell’organizzazione presa di mira.

Come stanno vivendo questi attacchi i cittadini di Beirut?

Sono persone estremamente abituate a vivere nella crisi e in situazioni che per tante altre sarebbero inaccettabili. Detto questo un episodio come quello dell’altro giorno ha alzato molto il livello di tensione e insicurezza. Ha creato un clima di ansia e di paura, giustificato anche per un popolo che è abituato a sopportare cose molto faticose. E c’è anche la frustrazione e il timore che possa non finire mai. Non si riesce a pensare a dopodomani.

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