Secondo una ricerca rilasciata di recente da CBInsight sui trend del mercato dell’intelligenza artificiale nel 2018, le startup cinesi hanno superato quelle americane per quanto riguarda la raccolta di fondi per la ricerca: la Cina raccoglie il 48% dei finanziamenti mondiali (di aziende e fondi di investimento stranieri) superando gli Usa fermi a quota 38%.

SI TRATTA DI UN SORPASSO importante e voluto fortemente dalla leadership cinese; non è un caso che i dazi anti-Pechino di Trump vadano per lo più contro i prodotti del piano Made in China 2025, con il quale Pechino intende trasformare il proprio modello industriale concentrandosi sui prodotti di alta qualità tecnologica, robotica e Ai in testa. Questa superiorità attuale da parte di Pechino conta anche sulla varietà dei paesi «amici» con i quali la Cina da tempo ha intessuto una relazione.

[do action=”citazione”]In Africa Pechino assolve al ruolo di driver dell’industrializzazione, con investimenti e la creazione di zone economiche speciali che permettono alla Cina di riversare il proprio surplus commerciale e gestire i propri finanziamenti alla ricerca di risorse.[/do]

Ma questo rapporto privilegiato di Pechino con i paesi dell’Africa ha anche altri risvolti, legati proprio all’intelligenza artificiale. Con lo Zimbabwe, nel marzo scorso, la società cinese CloudWalk Technology, con sede a Guangzhou, ha sottoscritto una partnership «per iniziare un programma di riconoscimento facciale su larga scala in tutto il paese. L’accordo, sostenuto dall’iniziativa Belt and Road del governo cinese – ha riportato Quartz – vedrà la tecnologia utilizzata principalmente per la sicurezza e l’applicazione della legge e sarà probabilmente estesa ad altri programmi pubblici».

Il Ceo di CloudWalk, al momento una delle tre aziende cinesi di intelligenza artificiale di maggior successo e su cui c’è grande attenzione da parte dei fondi di investimento, ha specificato al quotidiano governativo cinese Global Times che «il governo dello Zimbabwe non è venuto a Guangzhou solo per la tecnologia di identificazione facciale o di intelligenza artificiale, ma ha avuto un piano di pacchetto completo per aree come infrastrutture, tecnologia e biologia».

IL RICONOSCIMENTO FACCIALE in Cina ormai è una realtà quotidiana: viene utilizzato tanto per i pagamenti nei ristoranti, quanto per entrare in edifici pubblici, banche, scuole, ma anche per un’intensa attività di controllo sociale, legato alla sicurezza, nonché come base per le sperimentazioni di Pechino sui modelli predittivi per quanto riguarda potenziale reati.

[do action=”citazione”] Tutti questi dati finiscono in un unico grande database: le aziende cinesi, infatti, devono sottostare allo stretto legame con il governo, non solo in termini di finanziamenti, ma anche di condivisione con i funzionari del partito comunista, dei dati raccolti. [/do]

IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA cinese, i suoi database, al momento è uno dei più forniti sul pianeta e lo scopo dello «sbarco» in Zimbabwe non è solo economico, legato cioè alla vendita della propria tecnologia, ma è anche finalizzato al miglioramento del proprio know how: l’introduzione della tecnologia su una popolazione a maggioranza nera – come riportato anche da Foreign Policy – consentirà a CloudWalk di identificare più chiaramente altre etnie, superando gli sviluppatori Usa ed europei. Mentre le startup africane di riconoscimento facciale sono operative, non possono competere con le dimensioni e il supporto di CloudWalk e di altri».

MA CLOUDWALK
non è l’unico strumento con il quale la Cina è entrata di prepotenza nel mercato africano: il Financial Times già nel novembre del 2017, segnalava che la poco conosciuta – e cinese – Transsion Holding «è diventata player dominante nel mercato mobile africano, superando Samsung. La sua strategia principale è stata quella di indirizzare i propri telefoni agli utenti che non possono permettersi Apple, Samsung e altri marchi di smartphone».

E TRA CLOUDWALK E TRANSSION esiste un legame non da poco: nell’aprile scorso Transsion ha presentato un nuovo modello di smartphone, con tecnologia di riconoscimento facciale che sarà in vendita in Africa. Sul peso dell’intelligenza artificiale nella nuova postura globale di Pechino è intervenuta anche l’autorevole Nikkei Asia Review; Steven White, professore associato alla School of Economics della Tsinghua University intervistato a Tokyo ha specificato che «La Cina è impegnata a diventare leader nell’AI e gli Usa perderanno perché non hanno le risorse». Proprio il progresso cinese nella ricerca e nello sviluppo di intelligenza artificiale è al centro di un altro report importante, Deciphering China’s AI Dream, pubblicato nel marzo di quest’anno dal Future of Humanity Insitute dell’Università di Oxford.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE, secondo questo studio, potrebbe aumentare la divisione sociale interna alla Cina, favorendo chi è altamente qualificato e condannando chi è meno qualificato e dunque più a rischio sostituzione con robot o forme automatizzate del lavoro.

Ma questo report, così come altri, è concorde nel ritenere che ormai la scelta della dirigenza cinese è chiara: l’Ai serve a sviluppare tecnologicamente la Cina, è utile come strumento di controllo sociale e diventerà una nuova caratterizzazione dell’esportazione cinese, sempre più distante dalla «fabbrica del mondo» che abbiamo conosciuto e sempre più vicina a divenire una potenza nel nuovo mondo del capitalismo delle piattaforme.