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Gli eterni eurobond

Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale a cura di Nuova finanza pubblica
Pubblicato 6 giorni faEdizione del 21 settembre 2024

Il famoso rapporto sulla competitività di Draghi ha riportato indietro le lancette del tempo. Rispunta il dibattito sugli eurobond, una delle parole chiave del decennio precedente, assieme a spread e non performing loans. Termini tecnici che da quando si sono politicizzati – dando luogo a dibattiti e controversie – hanno abbandonato la rarefatta atmosfera dell’accademia o dei dibattiti degli addetti ai lavori per conquistarsi le prime pagine.

Il decennio scorso è stato dominato dal dibattito sull’Unione europea e sui modi con cui essa poteva affrontare la sua crisi. Una delle proposte chiave è stato una forma di indebitamento comune ai paesi europei – o quanto meno dell’eurozona.

Il termine rimanda alla proposta dell’allora presidente della Commissione Barroso. Il problema originariamente era questo: posto che tutti gli Stati si indebitano, alcuni di essi nell’Ue si erano trovati nei primi anni 2010 con dei tassi molto onerosi, facendo sì che il peso degli interessi determinasse l’effetto slavina. L’Italia per esempio nel 2011 sostituì Berlusconi con Mario Monti proprio per questo motivo.

Questo stato di cose rendeva sempre più visibile una divergenza fra centro e periferia, rendendo inattuabili delle regole unitarie di bilancio. La soluzione sarebbe stata prendere i fondi a prestito in maniera unitaria, cancellando tale asimmetria. La Commissione pubblicò un Libro verde a novembre 2012 illustrando varie modalità attuative.

Non se ne fece nulla, per diverse ragioni.

In primo luogo gli Stati europei sono in competizione reciproca. Perché i più ricchi avrebbero dovuto rinunciare al loro primato, quando si poteva puntare sulla austerità da imporre ai meno abbienti? La concorrenza è l’essenza stessa della Ue.

In secondo luogo l’opinione pubblica di essi era ferocemente contraria: le loro classi dirigenti avevano trovato convenevole puntare il dito sulle nazioni della periferia, stigmatizzandone l’eccessiva generosità delle loro spese, le masse di fannulloni mantenuti e la corruzione come cause della crisi, trascurando la intrinseca debolezza della architettura eurounitaria in sé (e pure i vantaggi che essa ha portato al centro-nord Europa).

Il Sole 24-Ore caldeggiò con forza la proposta con un editoriale del giugno 2012: Schnell, Frau Merkel. Inutile dire che i commenti dei lettori tedeschi, quando l’importante rivista tedesca Handelsblatt lo tradusse, lo seppellirono di insulti.

Una forma di indebitamento comune si è effettivamente realizzato con il Next Generation Eu sotto i colpi della emergenza Covid. Era stato detto infatti che un debito comune gestito dalla Commissione avrebbe avuto tassi più bassi rispetto ai singoli Stati membri. Ed effettivamente i tassi appena approvato lo “strumento comune” erano bassissimi.

Ma non è durato: dall’inizio del 2022 in poi il costo dell’indebitamento unitario è aumentato, non solo superando quello di Germania e Francia, avvicinandosi alla Spagna. I paesi “frugali”, che hanno mal digerito l’emissione comune del 2020 (ottenendo un radicale ridimensionamento) si troverebbero di fronte un costo maggiore rispetto a quello conseguito autonomamente.

Ci sono altre difficoltà. Il NGEu – come non si sono mai stancati di sottolineare i “frugali” – è una misura temporanea ed emergenziale, determinata dalla eccezionalità del covid. Ma dei veri eurobonds dovrebbero essere permanenti. Anche se non sostituissero il debito di ciascun paese ma vi si affiancassero, costituirebbero un capitale politico rilevante.

Per quanto possa essere prevedibile il loro controllo da parte della Germania e degli Stati più forti, tali fondi dovrebbero essere almeno formalmente gestiti da qualche forma di soggettività politica al di fuori degli Stati attuali, ed in maniera permanente.

Si può davvero pensare che Berlino possa accettarlo, viste le fibrillazioni del paese, le passate pronunce della sua Corte Costituzionale e le difficoltà in cui il paese si sta dibattendo?

Si potrebbe pensare che la necessità possa imporre al governo tedesco una integrazione in forme che precedentemente non sarebbero state possibili. Potremmo invece arguire che la Repubblica Federale, in crisi industriale nera e con la ascesa di AfD – nato, va ricordato, proprio contro l’euro – trovi convenevole sottrarsene. Anche se è Draghi a caldeggiare il contrario.

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