Gli ayatollah si giocano la carta del leader supremo
Iran Nel suo primo sermone del venerdì in otto anni Khamenei definisce Trump «un pagliaccio». Crisi dei missili, ora vengono fuori 11 feriti tra i marines nelle basi prese di mira in Iraq
Iran Nel suo primo sermone del venerdì in otto anni Khamenei definisce Trump «un pagliaccio». Crisi dei missili, ora vengono fuori 11 feriti tra i marines nelle basi prese di mira in Iraq
L’oligarchia di ayatollah e pasdaran era riuscita ad arrivare indenne alla soglia dei quarant’anni ma il prossimo compleanno, l’11 febbraio, si preannuncia turbolento. Stavolta rischiano la poltrona: per questo tirano fuori l’asso e si giocano la carta del sermone del venerdì con il leader supremo Ali Khamenei. Era dal 2012 che gli iraniani non ascoltavano un suo sermone, l’ultima volta era stato in occasione del trentatreesimo anniversario della Repubblica islamica. Evidentemente in questo momento la leadership di Teheran non sa più che pesci pigliare, questo momento è il peggiore dal 1979 perché alla grave crisi internazionale si somma quella interna, con la popolazione stremata dalle sanzioni che coglie ogni possibile occasione per scendere in strada e dimostrare contro le autorità, arrivando a chiedere le dimissioni del leader supremo e strappandone le immagini.
NEL SERMONE DI IERI Khamenei si è rivolto agli iraniani, in persiano, ma ha parlato anche in arabo perché aveva un messaggio per il resto del mondo islamico a cui ha chiesto di mandare via gli Stati uniti dal Medio Oriente. «La più grande punizione è la loro espulsione», ha dichiarato. Con gli iraniani, il Rahbar ha cercato di difendere se stesso e il regime. Ha accusato i dimostranti di essere influenzati dai media stranieri, ha definito Trump «un pagliaccio» e accusato la sua amministrazione di usare con il popolo iraniano «il pugnale intinto nel veleno», ha poi criticato gli E3 (Germania, Francia e Gran Bretagna) per aver innescato il meccanismo di risoluzione delle dispute sulla questione nucleare. Insomma, non ha risparmiato nessuno.
E non ha perso l’occasione di tessere le lodi delle Guardie rivoluzionarie da lui descritte come «un’organizazione umanitaria» laddove per gli Stati uniti sono un’organizzazione terroristica.
SE A SCENDERE IN CAMPO è stato il Rahbar in persona, è perché l’uomo che avrebbe potuto probabilmente salvare capra e cavoli è sepolto nel cimitero dei martiri a Kerman, la sua città natale. Capo delle forze speciali, il generale Soleimani aveva carisma da vendere, in un sondaggio gli iraniani lo avevano messo al top delle loro preferenze: sopra il leader supremo, il presidente e il ministro degli Esteri. Gli iraniani lo avrebbero voluto in politica, ma lui non era interessato anche se in realtà faceva politica estera soppiantando spesso Zarif nel ruolo di capo della diplomazia: era Soleimani a discutere con il siriano Bashar al-Assad, con il russo Vladimir Putin e con i vertici di Baghdad. Così facendo, il generale Soleimani aveva oscurato pure gli ayatollah. Forse per questo motivo è stato venduto agli americani, così corre voce a Teheran.
LE TEORIE DELLA COSPIRAZIONE lasciano il tempo che trovano ma ci sono troppe bugie, troppe cose che non tornano negli eventi di queste due settimane. Ne citiamo due.
La prima riguarda l’abbattimento del Boeing ucraino: per quattro giorni i pasdaran hanno negato fosse colpa loro, ora pare che il missile sia stato lanciato perché il sistema di difesa antiaerea della Repubblica islamica sarebbe andato in tilt per un attacco cibernetico del Mossad, i pasdaran non vogliono ammetterlo per non dare l’impressione di soccombere a Israele, preferiscono essere additati come i responsabili della morte di 176 persone.
SECONDA OSSERVAZIONE: ieri il Pentagono ha reso noto che undici soldati statunitensi sarebbero stati ricoverati per commozione cerebrale, erano nelle due basi militari americane in Iraq colpite l’8 gennaio dai missili iraniani. Il presidente Trump aveva subito twittato All is well, tutti illesi. Il Pentagono aveva affermato che vi erano stati danni alle strutture ma non alle persone. I sintomi sarebbero sopravvenuti a distanza di giorni, ha detto ieri il Pentagono. Ma le bugie hanno le gambe corte.
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