All’indomani del controverso rientro di Compaoré in Burkina Faso il manifesto ha intervistato Aziz Salmone Fall, docente di relazioni internazionali all’Università del Québec di Montréal (Uqam) e coordinatore della Campagna Internazionale Giustizia per Sankara (Cijs).

 

Aziz Salmone Fall

 

Il 6 aprile 2022 si è concluso il processo per l’assassinio di Thomas Sankara, può riassumere il percorso per arrivare alla condanna di Compaoré?

Il caso Sankara è stato inizialmente lanciato dalla nostra campagna internazionale sotto la guida di un collettivo di una ventina di avvocati volontari, è una lotta di oltre 25 anni. Nel 1997, poco prima del termine di prescrizione di dieci anni che avrebbe seppellito per sempre la vicenda, il Cijs ha avviato per conto della vedova Mariam Sankara e dei suoi figli un lungo procedimento giudiziario davanti a tutte le autorità legali del Burkina Faso. In contemporanea il Gruppo di Ricerca e Iniziativa per la Liberazione dell’Africa (Grila) ha lanciato la Campagna internazionale giustizia per Sankara, sostenuta da numerose associazioni africane e nel mondo. Nel 2007 l’African social forum di Bamako ha segnato la ventesima commemorazione della morte, con la storica visita a Ouagadougou della vedova Mariam dopo tanti anni di esilio. Tutto questo ha posto le basi per una nuova ondata rivoluzionaria che ha portato alla caduta di Compaoré nel 2014, riabilitando Sankara e rivitalizzando le indagini. Il processo, nonostante un ennesimo tentativo di insabbiamento durante il golpe, si è concluso quest’anno con l’incriminazione di 12 persone e la condanna all’ergastolo di Compaoré in contumacia, perché “inviato” dalla Francia in Costa d’Avorio.

La nostra mobilitazione ha contribuito a mantenere vivo il pensiero e il lavoro dei sankaristi in Burkina e nel mondo. Il lavoro di Sankara parla da sé. Lui ha incarnato la speranza di un cambiamento basato essenzialmente sul contributo delle forze endogene del popolo del Burkina Faso e dell’Africa in generale. Fu l’ultima rivoluzione africana, interrotta nel sangue nel 1987, quando iniziava a raccogliere frutti promettenti.

Il vostro comitato parla di ingerenze da parte di paesi esteri come la Francia e la Costa d’Avorio, perché?

Durante gli anni della sua presidenza Sankara si attirò le antipatie di numerosi paesi perché voleva decolonizzare le mentalità nel suo paese e in Africa, dove è diventato un’icona. È stato un leader carismatico che colpiva gli interessi dei paesi occidentali, come quando invitò l’Africa a non pagare il suo debito o denunciò all’Onu le guerre imperialiste, l’apartheid, la povertà e le influenze delle potenze coloniali nel continente africano, puntando il dito principalmente contro la Francia. C’è stato un ruolo di primo piano da parte di Parigi e la dimostrazione è il mancato invio alla giustizia burkinabé dei principali documenti segreti sul caso Sankara.
Un altro punto fondamentale, come evidenziato nel mio video AFRICOM go Home, è la lotta del popolo africano contro le basi militari straniere. C’è un proliferare continuo di basi straniere, inizialmente da parte di Usa e Francia, in un posizionamento che è legato all’accesso alle ricche risorse del continente, con il successivo inserimento di altre potenze (Cina, Russia, Turchia) che considerano il continente africano una terra da depredare per i loro interessi economici.

Come giudica i recenti avvenimenti di questo mese con il rientro di Compaoré in Burkina Faso e le sue scuse nei confronti del popolo burkinabé e della famiglia Sankara?

La questione del ritorno e delle scuse di Compaoré rientra in uno schema già definito, relativo a quello che consideriamo “la strategia del caos”. Francia e Costa d’Avorio tentano, attraverso la minaccia jihadista e la crisi sulla sicurezza, di imporre la loro visione in Burkina Faso e con la scusa della riconciliazione e dell’unità nazionale mirano al passo successivo che sarà la proposta di una grazia presidenziale per Compaoré: una totale negazione del nostro lavoro e dello stato di diritto in Burkina. L’incontro di inizio luglio ha mostrato che lo stesso colonnello Damiba rientra in queste logiche, senza alcun segno di discontinuità con il passato.

Purtroppo, la strategia del caos ha demolito un lungo lavoro che ha consentito il risveglio e poi il rovesciamento del regime di Compaoré, insieme a una magistratura sempre più coraggiosa che è arrivata alla sua incriminazione. Il popolo burkinabé non dimentica i 27 anni della sua dittatura, la dura repressione nel paese e il fatto di essere scappato e aver rinnegato la sua nazionalità per evitare la giustizia burkinabé.

Quali sono le principali lezioni per continuare la lotta in Burkina Faso e in Africa?

Le scuse di Compaoré e, molto probabilmente, la grazia presidenziale da parte di Damiba non cambia nulla nelle richieste di giustizia da parte del popolo burkinabé e delle famiglie delle vittime durante la sua dittatura. Nonostante le intimidazioni, il Cijs ha continuato e continuerà nella sua lotta, grazie al sostegno popolare nazionale e internazionale, per ottenere l’arresto di Compaoré e riaffermare che il Burkina Faso è uno stato di diritto e una democrazia popolare, come indicato dallo stesso Sankara. Questo processo, comunque vada, ha già fatto giurisprudenza a livello di diritto internazionale e il nostro obiettivo è quello di combattere l’impunità e l’oppressione in tutti i paesi del continente. Nello spirito degli ideali progressisti di Sankara che incarnava l’idea di uno sviluppo panafricano, una rottura radicale con i legami coloniali, tutt’ora presenti, per rendere l’Africa veramente libera.