Cosa vuol dire prevenire il suicidio nelle carceri? Ieri il capo del Dap Giovanni Russo, incontrando una delegazione della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private di libertà che chiedono interventi urgenti per contrastare quella che sembra una vera e propria epidemia di suicidi in carcere (20 dall’inizio dell’anno), ha assicurato che «entro il mese di aprile, prenderanno servizio 234 funzionari dell’Area giuridico pedagogica, completando così la pianta organica nazionale». La dem Debora Serracchiani chiede di più: «Bisogna investire anche sulla formazione del personale, dalla polizia agli educatori fino agli psicologi. Ci sono bandi che vanno deserti, a Rebibbia c’è una seziona psichiatrica nuova pronta, ma senza personale. Chiederemo che il carcere venga considerata sede disagiata per garantire indennità e stipendi superiori».

Sì, perché la salute dei detenuti – soprattutto in alcune regioni – è tenuta in considerazione zero. Prendiamo per esempio la storia di M. C., napoletano di 21 anni alla sua prima esperienza di reclusione malgrado sia cresciuto in una famiglia a dir poco disfunzionale. Tossicodipendente che dava segni di squilibrio già dal suo primo ingresso in cella, nell’agosto 2022, da mesi è considerato ormai a rischio suicidio e lo psichiatra, che finalmente è riuscito a visitarlo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dove ora è recluso, otto giorni fa ne ha chiesto il ricovero immediato con Trattamento sanitario obbligatorio. Ma ad oggi, riferisce il suo legale, l’avvocato Emilio Giugliano, «il ragazzo è ancora detenuto, e ogni minuto che passa potrebbe essere davvero l’ultimo».

Arrestato per aver rapinato un Rolex, dopo tre mesi a Poggioreale, data la sua fragilità viene trasferito ai domiciliari. Nel frattempo il processo arriva in Corte d’Appello e M. C. è condannato a tre anni e 4 mesi di reclusione. «Inizia allora a frequentare il Serd per certificare la sua tossicodipendenza – racconta l’avv. Giugliano – e a febbraio 2023 ha anche un colloquio per entrare nella comunità terapeutica di Civitavecchia. Purtroppo però a dicembre, dopo un anno e un mese di domiciliari, il suo disagio psichico si rende molto evidente e disattende la reclusione domiciliare. Un giorno la polizia non lo trova in casa e M. finisce di nuovo in carcere».

A S. M. Capua Vetere il giovane desta subito preoccupazione: «Ricevo notizie molto allarmanti dalla famiglia, dagli altri detenuti e anche il Garante della Campania, Samuele Ciambriello, mi riferisce di averlo trovato in condizioni drammatiche». L’avvocato presenza in Corte d’Appello istanza per la visita di uno psichiatra, ma i giudici vogliono prima vedere la cartella clinica del detenuto. La chiedono, il carcere non risponde. Nulla si muove dopo varie sollecitazioni, finché Giugliano, su indicazione del presidente della Prima sezione, nomima un perito di parte che finalmente riesce a visitare M. C. il 7 febbraio. «Sulla cartella clinica, il prof. Raffaele Sperandeo e la dott.ssa Simona Annunziata che lo hanno visitato in carcere – riferisce l’avvocato – hanno trovato solo una terapia col Tavor, ridicola per un soggetto con una problematica enorme. E infatti i periti mettono nero su bianco l’incompatibilità assoluta con il carcere e chiedono il Tso immediato. In risposta dalla Corte – conclude l’avv. Giugliano – ho ricevuto solo un’ordinanza con la quale si ripete che senza cartella clinica non si può procedere».

Si spera solo che l’amministrazione di S. M. Capua Vetere arrivi prima di un’altra tragedia.