Giordania, più voti agli islamisti sostenitori di Gaza
Medio Oriente Le elezioni del 10 settembre premiano le proteste contro Israele. La monarchia, che resta legata e dipendente dagli Stati uniti, teme che le manifestazioni si saldino con la frustrazione per la disoccupazione e la crescente povertà
Medio Oriente Le elezioni del 10 settembre premiano le proteste contro Israele. La monarchia, che resta legata e dipendente dagli Stati uniti, teme che le manifestazioni si saldino con la frustrazione per la disoccupazione e la crescente povertà
Come era ampiamente previsto, il Fronte d’azione islamico (Iaf), braccio locale della Fratellanza islamica e principale partito di opposizione, ha ottenuto un rafforzamento significativo dalle elezioni del 10 settembre per il rinnovo della Camera bassa della Giordania. Ieri sera, i risultati non definitivi lo davano a 32 seggi sui 138 dell’assemblea.
Un successo frutto, non ci sono dubbi, del protagonismo dell’Iaf nelle strade di Amman e di altre città del regno hashemita dove, dopo il 7 ottobre, sono continue le manifestazioni a sostegno di Hamas e le proteste per l’offensiva israeliana che ha distrutto la Striscia di Gaza e ucciso oltre 40mila palestinesi.
I RADUNI con migliaia di persone davanti all’ambasciata israeliana ad Amman sono stati continui in un paese legato allo Stato ebraico da un trattato di pace trentennale ma dove la popolazione è in prevalenza di origine palestinese e mantiene stretti legami con i parenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
La monarchia in quest’ultimo anno ha manovrato in una situazione incandescente, in cui la popolazione già da anni chiede l’interruzione dei rapporti, a partire da quelli economici, con Israele. Ha perciò lanciato pesanti accuse al governo Netanyahu – a pronunciarle è stata spesso la regina Rania più di re Abdallah – e allo stesso tempo ha tenuto i servizi di sicurezza e la polizia in costante stato di allerta per non deteriorare i rapporti con Israele e per salvaguardare l’alleanza con gli Stati uniti che garantiscono sostegno militare ed economico alla Giordania.
Secondo più fonti, lo scorso 13 aprile Amman ha contribuito con le sue forze aeree ad abbattere, assieme ad americani, francesi e britannici gli oltre 300 droni e missili lanciati dall’Iran verso Israele. Scelte e posizioni che la maggior parte della popolazione trova ambigue e insostenibili e, appena due giorni prima delle elezioni, un camionista giordano, Maher Al Jazi, ha ucciso tre guardie israeliane al valico di frontiera di Allenby con la Cisgiordania occupata, nel primo attacco del genere dagli anni Novanta.
Il clan beduino a cui apparteneva Al Jazi, originario della zona di Maan nel sud del paese, pur essendo fedele a re Abdallah ha approvato apertamente l’attacco e ribadito pieno sostegno alla causa palestinese.
Sul piano legislativo e politico l’esito del voto avrà un impatto limitato. Sebbene sia stata varata una nuova legge elettorale per consentire ai partiti politici di svolgere un ruolo più importante nel parlamento dominato da tribù e clan familiari pilastro della monarchia, la Camera bassa comunque rimarrà sotto il controllo delle forze tradizionali.
I POTERI più significativi, a cominciare dalla politica estera resteranno nelle mani di re Abdullah, un alleato fondamentale per gli Stati uniti e l’Occidente. L’affluenza non a caso è stata solo del 32%, in aumento del 2% rispetto al 2020 ma in calo se confrontata con il 35% del 2016.
Nelle strade invece i risultati elettorali daranno più forza agli islamisti e anche a tutte le altre formazioni, incluse quelle della sinistra, che organizzano le manifestazioni contro Israele. Anche Murad Al Adaileh, segretario generale del Fronte d’azione islamico, riconosce che i giordani hanno premiato il suo partito per le posizioni che ha tenuto sulla guerra a Gaza: «Il nuovo parlamento dovrà tenere conto delle politiche dell’estrema destra al potere in Israele che potrebbero allinearsi con l’estrema destra americana se Donald Trump vincerà le presidenziali negli Usa», ha avvertito Al Adaileh in riferimento ai pericoli per la Giordania oltre che per i palestinesi.
La monarchia invece teme che le manifestazioni contro i massacri a Gaza si saldino con la frustrazione dei giordani per l’economia stagnante, l’aumento della povertà e gli alti livelli di disoccupazione, soprattutto tra i giovani. I problemi economici sono stati aggravati dall’impatto della tensione in Medio Oriente sul fondamentale settore turistico giordano e da un debito pubblico vicino ai 50 miliardi di dollari. La disoccupazione ufficiale ha raggiunto il 21%, quella reale è più alta.
Mjriam Abu Samra, analista residente ad Amman e ricercatrice per le università Ca’ Foscari e California Davis, sottolinea che il dibattito intorno alle elezioni e sulla distruttiva offensiva israeliana a Gaza ha fatto emergere, forse per la prima volta nella storia recente della Giordania, una maggiore unità popolare.
«TUTTA la retorica sulla questione identitaria che da decenni accompagna le analisi su questo paese e la divisione tra i cosiddetti ‘giordani giordani’ e i ‘giordani palestinesi’ non è mai apparsa superata come in questi mesi e in questi giorni», spiega Abu Samra al manifesto. «In questi mesi – aggiunge – è diventato evidente che il popolo giordano al di là delle origini di ogni singolo cittadino, condivide la stessa visione e lo stesso sostegno alla popolazione palestinese sotto attacco così come del rischio che la Giordania resti vittima di una escalation a causa delle politiche di colonizzazione da parte di Israele».
Quanto accade in Cisgiordania, prosegue Abu Samra, «è ancora più rilevante e delicato per quelle che sono le paure e i timori di un possibile sfollamento dei palestinesi dalla loro terra». La Giordania conclude l’analista, «sospetta Israele sia intenzionato a colonizzare tutto ciò che resta del territorio cisgiordano e a spegnere le rivendicazioni dei palestinesi sulla loro terra riversandole sulla Giordania. Un disegno che storicamente è stato dichiarato (da varie forze ed esponenti politici di Israele, ndr) e che ai giordani ora appare più concreto».
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