È ancora scontro tra Europa e Big Tech americane, sempre in nome dell’apertura del mercato e del rispetto delle regole della concorrenza. Solo tre settimane dopo la pesante multa da 1,8 miliardi di euro comminata ad Apple da Bruxelles per violazione alla competitività in merito allo streaming musicale, la Commissione europea ha avviato ora un’indagine per non rispetto del Digital Market Act (Dma) – la legge sui mercati digitali entrata in vigore da due settimane – contro tre colossi digitali: Aphabet, che controlla Google, Meta, a cui fanno riferimento i social network Facebook e Instagram, e di nuovo contro il gigante di Cupertino.

COME HANNO DETTAGLIATO nel corso della conferenza stampa la responsabile delle Politiche della concorrenza Margrete Vestager insieme al commissario all’Industria Thierry Breton, si tratta di cinque distinti capi di imputazione. Google è finita nel mirino per aver sfruttato il monopolio come motore di ricerca favorendo i propri servizi di comparazione di prezzi su beni di vendita online, dai biglietti aerei al noleggio auto agli hotel.

E sempre il gigante di Mountain Vew è sotto accusa insieme ad Apple per la condotta sui propri “negozi online” per scaricare le app, ovvero GooglePlay ed AppleStore, dove viene limitata «la capacità degli sviluppatori di comunicare, promuovere liberamente offerte e di concludere direttamente contratti» con gli utenti finali. Ancora, il gigante di Cupertino viene accusato di non dare la possibilità di disinstallare le app predefinite sul sistema operativo iOS, quello degli iPhone.

Infine, Meta contravverrebbe alla legge europea sui mercati digitali quando sui propri social propone agli utenti di pagare se vogliono evitare la raccolta dati ai fini della pubblicità mirata, mentre «il consenso deve essere libero». «Sono casi gravi, se avessimo potuto risolverli solo discutendo con le parti coinvolte, li avremmo già risolti e non avremmo aperto l’indagine» ha osservato Vestager. «Sono anche casi emblematici di quello che il Dma rappresenta e l’utilità che può avere».

INFASTIDITA LA REAZIONE delle parti interessate dall’indagine. «Per ottemperare al Digital Markets Act, abbiamo apportato significativi cambiamenti al nostro modo di operare in Europa», si difende il direttore per la concorrenza di Google Oliver Bethell. «Continueremo a difendere il nostro approccio nei prossimi mesi». Parla di «indagini premature» e punta il dito contro il «rischio di politicizzazione» la lobby tech di Bruxelles Computer and communication industry association (Ccia).

LE SOCIETÀ FINITE sotto la lente d’ingrandimento sono in realtà tre dei sei gatekeepers, che comprendono anche Microsoft, ByteDance (proprietaria di TikTok) e Amazon, già finita sotto indagine dell’antitrust Ue per l’acquisizione di iRobot. «Questo non significa che approviamo tutte le misure implementate dagli altri», ha avvertito ancora Vestager. I gatekeepers – alla lettera “guardiani” – sono piattaforme digitali che, come si legge sul sito della Commissione Ue «forniscono un importante punto di accesso tra imprese e consumatori in relazione ai servizi di piattaforma di base».

E ORA? LE INDAGINI andranno completate nel giro di un anno, al termine del quale si valuteranno le eventuali violazioni. Le multe previste potranno ammontare al 10% del fatturato delle società e perfino raddoppiare al 20%, se si trattasse di infrazioni reiterate. In questo caso potremmo trovarci di fronte a cifre record.

La già menzionata multa ad Apple arrivata all’inizio di marzo corrispondeva allo 0,5 dei guadagni globali della creatura di Steve Jobs, e non era che la terza multa più grande, in termini assoluti, nella storia delle sanzioni Ue contro Big Tech. Nel 2018 Google era stata colpita da un’ammenda da oltre 4 miliardi di euro per abuso di posizione dominante del suo sistema operativo Android. Ma l’azienda di Mountain View è stata sanzionata già in precedenza, per un ammontare complessivo di circa 8 miliardi di euro. È vero che nulla di tutto questo ha portato i giganti del tech sulla retta via. Rimane da chiedersi se almeno la prospettiva di sanzioni pecuniarie più alte potrà rappresentare una ragione decisiva per rispettare le regole imposte dalla legge europea sul mercato digitale.