Scrivere in questo preciso momento, quando il fumo delle esplosioni annerisce l’orizzonte e il sangue scorre denso e veloce è un compito quasi impossibile. Ci sono momenti nella vita in cui le parole vengono a mancare. Intrappolati nel dolore di fronte a eventi che ci travolgono, non sappiamo cosa dire e, atterriti dall’angoscia, preferiremmo tacere. Nessuna narrazione potrà rendere conto dell’orrore in cui siamo stati immersi in questi giorni di guerra.

Scrivo oggi questo testo, con tutta la responsabilità che la guerra mi impone, e con il rispetto per il dolore di chi ha sofferto la sorte dei quasi 200 ostaggi finiti nelle mani di Hamas, nonché per la vergogna di chi è caduto vittima di bombardamenti indiscriminati, che continuano senza sosta proprio mentre consegno questo mio scritto. Ecco perché questa introduzione viaggia su due binari. Da un lato implora: Liberate la mia gente! Dall’altro, allo stesso tempo, grida a gran voce: Fermate i bombardamenti!

SEBBENE QUESTA REGIONE regione martoriata abbia nel tempo conosciuto innumerevoli guerre, la barbarie scatenata il 7 ottobre trascende e supera tutto ciò che avevamo vissuto in passato. Le atrocità di questi giorni in questa terra non mi permettono di esprimere un giudizio con la moderazione che questo libro meriterebbe, eppure, nonostante la confusione, posso riaffermare che alcuni aspetti del conflitto israelo-palestinese rimangono sempre gli stessi, e sono peggiorati: con il passare del tempo, il conflitto è diventato sempre più violento, sempre più deprecabile; non si fa più distinzione tra combattenti e civili, il discrimine tra fronte e retroguardia è stata completamente cancellata, non c’è più un posto sicuro per nessuno e occupanti e occupati si assomigliano sempre di più. Inoltre, è sempre più evidente la verità che in guerra mai nessuno vince, mentre tutti perdono in egual misura.

Gerusalemme non è più la stessa. Le strade sono pregne dell’angoscia di migliaia di sfollati provenienti dalle zone belligeranti, ospitati in tutti i rifugi possibili della città, mentre una folla di persone armate si aggira per i suoi centri commerciali: alcuni di loro sono riservisti di leva, ma altri fanno parte di una nuova milizia di «guardie civili» che il governo ha frettolosamente riunito per creare un maggiore senso di sicurezza tra la popolazione.

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Anche i muri delle case sono cambiati: pareti e finestre tappezzate di striscioni e slogan che gridano «vinceremo» sono intervallate da angoscianti manifesti che mostrano i volti delle vittime dei rapimenti – molte delle quali donne e bambini – così somiglianti ai volti dei nostri figli e dei nostri nipoti, con una scritta che invoca: liberateli subito!

La città è popolata di sguardi pieni di paura, un’incertezza esistenziale che ci corrode dall’interno. I timori della popolazione sono sempre più evidenti nei comportamenti quotidiani. Se in passato era già difficile trovare un tassista che accettasse di portarti nella parte orientale della città, ora i dipendenti arabi dei centri commerciali sono scomparsi, i cantieri sono bloccati per mancanza di manodopera e, a eccezione di coloro che devono recarsi sul posto di lavoro, pena la perdita dello stesso, la maggior parte dei palestinesi ha smesso di recarsi nella parte occidentale della città. La città impossibile è diventata città impraticabile.

Il 7 ottobre ha rivelato l’inconsistenza del modello «Gerusalemme unita» del governo israeliano, rendendo evidente quanto la frattura sia profonda e irrisolvibile.

Da quel tragico giorno in poi, i palestinesi gerolosimitani sono diventati, agli occhi di Israele, simpatizzanti di Hamas nel migliore dei casi, potenziali terroristi nel peggiore. La polizia è stata la prima a trattare questi palestinesi con tutta la sua tipica ostilità.

LE STRADE dei quartieri arabi sono state bloccate, ogni giovane è diventato automaticamente sospetto e migliaia di persone hanno perso il lavoro a causa della paura e del sentimento prevalente di minaccia tra la popolazione ebraica; tutto ciò continuamente incrementato da ispezioni abusive e umilianti, da violente incursioni nelle scuole e da raid contro coloro che esprimevano un qualsiasi grado di solidarietà con le sofferenze di Gaza.

L’anomalia della città rimane: Gerusalemme è, e resta, una città impossibile, più complicata che mai. La popolazione palestinese è ostaggio in casa propria del governo israeliano, non c’è più modo di nasconderlo. Il vassallaggio a cui sono soggetti i musulmani, implicito in tempi relativamente ibridi, viene alla ribalta in momenti di maggiore tensione come quello che stiamo vivendo mentre scrivo queste righe.

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La rigidità sociale gerosolimitana, così come il tessuto ideologico e i rapporti di forza chiaramente discriminatori si sono più che mai acuiti. L’intolleranza, segno distintivo della società israeliana, è più che mai manifesta, mentre la discriminazione, che sta alla base della struttura municipale, cresce di ampiezza e di intensità e si diffonde come un’epidemia.

E dove regna la discriminazione, fiorisce la trasgressione. Molti palestinesi non vogliono essere destinatari passivi dei maltrattamenti e reagiscono per disperazione anche con la violenza, creando circoli viziosi da cui nessuno esce indenne.

ANCHE QUESTA guerra prima o poi finirà, e allora ci si chiederà: cosa si attende Gerusalemme il giorno dopo la sua fine? Il futuro non promette nulla di buono per la popolazione palestinese. Ecco perché la tesi centrale di questo libro rimane attuale: è imperativo dividere la città, non solo una divisione territoriale, ma anche una divisione funzionale e formale. Solo dividendola potremo tenerla insieme.

Se c’è una speranza di ripristinare la sua capacità di essere moderata, la qualità del suo umanesimo, la statura morale che merita, è dividerla in due capitali per due nazioni. Oggi sembra più difficile che mai, ma non dimentichiamo che la storia ci ha insegnato che dove infuriano le tempeste nascono le speranze, e a coloro che pensano che questo sia impossibile, ricordiamo che in questo mondo il possibile può essere raggiunto solo se l’impossibile viene combattuto più e più volte.