Germania, il mega-piano licenziamenti di Thyssenkrupp: via 11mila lavoratori
Crisi d’acciaio Una vera e propria decimazione, il taglio colpirà esattamente un dipendente su dieci, principalmente nelle sedi tedesche. Indignato il sindacato Ig-Metal. L’azienda: «Da soli non ce la facciamo. Sarebbe di grande aiuto se potessimo ottenere i fondi recentemente stanziati dal governo», dice Martina Merz, presidente del cda
Crisi d’acciaio Una vera e propria decimazione, il taglio colpirà esattamente un dipendente su dieci, principalmente nelle sedi tedesche. Indignato il sindacato Ig-Metal. L’azienda: «Da soli non ce la facciamo. Sarebbe di grande aiuto se potessimo ottenere i fondi recentemente stanziati dal governo», dice Martina Merz, presidente del cda
Thyssenkrupp prepara il più grande piano di licenziamenti della sua storia. All’orizzonte del primo produttore di acciaio tedesco si profila il maxi-taglio di oltre 11.000 posti di lavoro: quasi il doppio di quanto preventivato questa estate. Letteralmente, cifre ufficiali alla mano, si tratta di una vera e propria decimazione, dato che colpirà esattamente un dipendente su dieci, principalmente nelle sedi in Germania.
Ad annunciarlo ieri in conferenza stampa la presidente del cda, Martina Merz, pronta a chiedere al governo Merkel «il sostegno finanziario statale per la ristrutturazione del settore siderurgico», ossia di aprire i cordoni del Fondo di stabilizzazione economica varato per l’emergenza Coronavirus.
Immediata la dura reazione del sindacato Ig-Metall «indignato» per la decisione a senso unico assunta dal colosso di Duisburg: «Respingiamo categoricamente la riduzione dei costi concentrata soprattutto sulla riduzione del personale e sui contributi dei dipendenti» ha scandito Jürgen Kerner, vicepresidente del Consiglio di vigilanza di Thyssenkrupp.
In risposta ai licenziamenti di massa (7.400 posti di lavoro nei prossimi tre anni che si aggiungono a 3.600 già tagliati nel corso del 2019) Ig-Metall pretende almeno che il Land del Nordreno-Vestfalia subentri nella gestione del settore acciaio dell’impresa, nonostante il Parlamento locale abbia già escluso qualunque ipotesi di partecipazione statale nelle attività di Thyssenkrupp.
Si conferma così la nera previsione anticipata mesi fa dal capo del personale, Oliver Burkhard, che aveva interpretato più che correttamente il sibillino «la crisi provocata dal Covid-19 ci imporrà di assumere decisioni di vasta portata» preannunciato dal Cda.
Nel bilancio d’esercizio chiuso a settembre l’azienda ha riportato la perdita operativa pari a 1,6 miliardi di euro dopo la cessione del ramo ascensori che ha permesso di incamerare 17 miliardi necessari a limitare il buco negli incassi. Corrisponde al calo di fatturato del 15%, ovvero al guadagno ridotto a “soli” 29 miliardi a causa del crollo del settore dell’Automotive che per Thyssenkrupp si traduce in un terzo del business complessivo.
Così, di fatto, il conto della flessione degli ordini viene scaricato direttamente sui lavoratori soprattutto della zona della Ruhr dove a “ballare” sono circa 1.300 posti di lavoro.
In attesa della ristrutturazione definitiva prevista per la primavera dell’anno prossimo, il cda del gigante siderurgico starebbe valutando la joint-venture industriale con altre multinazionali del settore, ma anche prendendo in considerazione l’offerta di acquisto della divisione acciaio da parte del gruppo britannico “Liberty Steel” come conferma la stampa locale.
Tuttavia – fa sapere Merz – Thyssenkrupp «da sola non ce la fa» e quindi ha assoluto bisogno del supporto finanziario pubblico: «Sarebbe di grande aiuto se potessimo ottenere i fondi recentemente stanziati dal governo».
Anche se con la vendita del ramo ascensori in teoria «l’impresa è diventata più piccola ma anche più redditizia» come ammettono gli amministratori. Ciò nonostante «la ristrutturazione di
Thyssenkrupp procede ancora troppo lentamente» almeno secondo Friederike Helfer, rappresentante del fondo di investimento svedese “Cevian Capital” che detiene il 18% del capitale del conglomerato tedesco (oltre alle partecipazioni in Volvo, Abb e Danske Bank) ed è il secondo azionista dopo la Fondazione Thyssenkrupp.
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