Il profilo è quello di un cavallo da corsa, una vera leggenda nella storia degli ippodromi americani della seconda metà dell’Ottocento, ma la vicenda che racconta Geraldine Brooks in Come il vento (Neri Pozza, pp. 400, euro 20, traduzione di Massimo Ortelio) ha la capacità di evocare sfide e quesiti che interrogano ancora quella società. Perché intorno alle peripezie di Lexington, un magnifico purosangue dal mantello baio con una stella bianca e una chiazza sul muso, è una pagina fondamentale della storia del Paese che la scrittrice australiana ma da tempo residente in Virginia sceglie di indagare.

NATO IN KENTUCKY una decina di anni prima della Guerra civile, Lexington sarà affidato alle cure di un giovane nero, Jarret, all’epoca ancora costretto in schiavitù, che lo trasformerà in un campione, una delle leggende più duratura della storia delle corse. La fama della stella del galoppo avrebbe però fatto lungamente ombra al ruolo di chi lo aveva allevato e reso forte, i cosiddetti black horsemen che nell’America schiavista non potevano possedere cavalli ed erano costretti a farli gareggiare per le scuderie dei bianchi. Una vicenda dimenticata e riemersa grazie al libro.

Come spesso avviene nei romanzi di Brooks, vincitrice del Pulitzer nel 2005 e che da ex corrispondente in Medioriente si è occupata anche del rapporto tra fede e violenza, non si tratta tanto di intessere un canovaccio narrativo intorno alla realtà, quanto piuttosto di indagare con gli strumenti della letteratura ciò che la memoria degli uomini ha spesso ignorato.

In questo caso, il ritrovamento casuale di un dipinto raffigurante una giumenta e il suo puledro, il «piccolo» Lexington, all’Università del Kentucky e il trasferimento, nel 2010, dello scheletro del cavallo da un solaio dello Smithsonian ad un museo dell’ex Stato confederato, hanno spinto la scrittrice ad immaginare un piano narrativo che alterna la vita di Jarret, tra il Sud dello schiavismo e gli anni altrettanto dolenti della Ricostruzione, e le ricerche intorno alla sua figura che 150 anni più tardi conducono una studiosa australiana e uno storico dell’arte statunitense.

TORNARE A DARE VOCE agli afroamericani, protagonisti della storia americana ma esclusi dalla memoria pubblica del Paese, diventa così il sottotesto di un romanzo potente dove avventura e ricerca della libertà si intrecciano in modo seducente.

L’autrice presenterà il libro oggi alle 18 alla Casa delle Letterature di Roma e sabato, sempre alle 18, al Castello Sforzesco di Milano nell’ambito di Bookcity.