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Genocidio in Ruanda, Parigi si assolve

Genocidio in Ruanda, Parigi si assolveEmmanuel Macron in visita a Kigali nel 2021, con dietro il presidente ruandese Paul Kagame – Ap

Operazione Turquoise Respinto il ricorso di superstiti e associazioni. Dopo 17 anni di indagini sulle complicità francesi arriva il «non luogo a procedere». L'accusa era di «aver consapevolmente abbandonato i civili tutsi che si erano rifugiati sulle colline di Bisesero» e di «aver consentito alla strage di centinaia di persone tra il 27 e il 30 giugno 1994»

Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 10 settembre 2022

Ci sono voluti 17 anni di indagine giudiziaria per arrivare a un «non luogo a procedere» con l’archiviazione sull’indagine relativa alla presunta inerzia dell’esercito francese durante le stragi di Bisesero alla fine di giugno 1994, durante il genocidio dei tutsi in Ruanda.

Secondo quanto riporta l’Afp, nella loro ordinanza del primo settembre, resa pubblica questo mercoledì, i magistrati francesi spiegano che «non è stato possibile stabilire la partecipazione diretta delle forze militari francesi agli abusi commessi nei campi profughi».

DI PARERE OPPOSTO le associazioni Survie, Ibuka, la Federazione internazionale per i diritti umani (Fidh) e sei sopravvissuti di Bisesero che giovedì hanno presentato ricorso, dopo la denuncia presentata nel 2005 in cui si accusavano i soldati dell’Operazione Turquoise di «aver consapevolmente abbandonato i civili tutsi che si erano rifugiati sulle colline di Bisesero», e di «aver consentito alla strage di centinaia di persone tra il 27 e il 30 giugno 1994».

Tra i membri di Survie il ricercatore François Graner – coautore del libro Lo Stato francese e il genocidio dei tutsi in Ruanda – ha indicato all’Afp che «anche se non vi è stata partecipazione da parte delle autorità francesi, l’abbandono deliberato di civili inermi in estremo pericolo indica colpe indirette da parte di Parigi».

Le associazioni hanno chiesto un processo non solo contro i militari, ma anche contro i membri dell’entourage dell’ex presidente François Mitterrand, mai preso in considerazione dalle indagini. Ma i magistrati inquirenti hanno ritenuto che l’istruttoria non avesse stabilito «la partecipazione diretta delle forze militari francesi agli abusi commessi nei campi profughi, né alcuna complicità di aiuti o assistenza alle forze genocide o complicità di astensione dei soldati francesi sulle colline di Bisesero», ha dichiarato in una nota la procuratrice di Parigi, Laure Beccau.

«LA DECISIONE della magistratura francese evidenzia la mancanza di rispetto nei confronti delle vittime del genocidio – continua Graner – come la completa omissione delle conclusioni del Rapporto Duclert, pubblicato lo scorso anno».

I membri della Commissione Duclert, voluta fortemente dal presidente Emmanuel Macron per «far luce sulle implicazioni del governo francese in Ruanda», avevano classificato la presenza francese come «un’ultima sconfitta coloniale tanto più grave perché Parigi ha avuto una responsabilità politica, istituzionale e morale nel genocidio del 1994».

Critiche soprattutto nei confronti dell’Operazione Turquoise (missione francese a mandato Onu, avviata nel giugno ‘94 con l’obiettivo di porre un freno alle violenze in atto nel paese) che fu sempre oggetto di controversie e critiche perché «si dimostrò incapace di porre un limite ai massacri in corso».

SECONDO L’ONU, per oltre 100 giorni (tra aprile e luglio 1994) le Forze Armate Ruandesi (Far), insieme ad altri gruppi paramilitari hutu, uccisero e massacrarono (spesso solo con i machete) oltre 800mila Tutsi in una maniera pianificata e capillare. Il genocidio ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria del Fronte Patriottico Ruandese (Rpf) – nato dalla comunità Tutsi che si era rifugiata in Uganda, il cui fondatore è l’attuale presidente ruandese Paul Kagame – contro le forze governative che causò la fuga di oltre un milione di Hutu, quelli più legati agli apparati di potere e alle milizie paramilitari, che scapparono verso i paesi confinanti (Burundi, Zaire, Tanzania e Uganda) per paura di essere giustiziati.

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