Lo scandalo del Qatar ha gettato un’ombra più che imbarazzante sul Consiglio europeo di fine anno, un ultimo terremoto – riguarda la questione fondamentale della fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee – che si è aggiunto alla lunga lista dei problemi irrisolti e da risolvere sotto la pressione di un’attualità ad alta tensione. I capi di stato e di governo hanno puntato a liquidare la crisi della corruzione in apertura del vertice, nell’incontro con la presidente dell’Europarlamento, Roberta Metsola.

Ma il Qatar è stato il pesante elefante nella stanza per tutto il Consiglio, il primo per Giorgia Meloni: c’è la questione della garanzia di approvvigionamento sicuro del gas non per quest’inverno (abbiamo riempito gli stock con il gas russo) ma per il prossimo, 2023-24, quando il gas di Mosca non ci sarà più (la Ue importa complessivamente 400 miliardi di mq l’anno, 150 erano comprati ai russi).

DIETRO LE QUINTE, la corsa ancora in atto per concludere contratti con i produttori di energie fossili, le imprese tedesche hanno appena firmato un’intesa con Doha per forniture su 15 anni, la società energetica ungherese Mum sta trattando per il Gnl, Emmanuel Macron, che la vigilia era in Qatar per la partita, ha fatto affermazioni molto compiacenti sull’organizzazione dei Mondiali (la spiegazione ufficiale è che è andato a vedere perché la Francia deve organizzare il mondiale di rugby nel 2023 e le Olimpiadi nel 2024).

Il braccio di ferro sul price cap è nelle mani dei ministri dell’Energia, che si riuniscono di nuovo lunedì, le posizioni divergenti si stanno riavvicinando (un cap tra i 160 e i 220 euro il mwh, si era partiti da uno scarto tra 50 e 270 euro), dove dovrà essere trovato un accordo anche sulle modalità per avviare la procedura (tempi e modi), si lavora su diverse soglie a seconda delle condizioni per lo scatto. Quindici stati spingono per un cap effettivo, ma i contrari continuano a insistere sulla prudenza: sarebbe la prima volta che la Ue interviene direttamente sui mercati mondiali, un’incognita con il rischio penuria. La Commissione, con Germania, Olanda e altri preferisce spingere sul tasto del risparmio energetico, delle rinnovabili, della diversificazione delle fonti e degli acquisti congiunti.

I 27 LEADER hanno chiesto ieri alla Commissione di fare delle proposte entro il prossimo gennaio sulla competitività dell’industria europea, scossa dal caro energia e ora dalla minaccia che viene dagli Usa di essere esclusa dai mercati americani a causa dell’Inflation Reduction Act di Joe Biden (sovvenzioni per l’economia verde, ma solo made in Usa). C’è il rischio di una fuga degli investimenti industriali europei verso gli Usa. La Francia è alla testa del gruppo che vuole una task force europea, non per fare la guerra a Washington, ma per difendere la produzione europea (Macron vorrebbe un Buy European Act, respinto dai nordici). La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha messo in guardia i 27: la Ue non deve perdere il vantaggio sulle produzioni verdi. Parigi propone un fondo per l’industria, ma una decina di paesi sono contrari (i nordici e i piccoli), temono un accaparramento dei finanziamenti da parte dei “grossi”, Francia e Germania.

La Commissione ha promesso un piano su un Fondo di sovranità entro l’estate (ne aveva parlato von der Leyen nel discorso sullo Stato dell’Unione a settembre). Per ora siano a un «momento di orientamento». Bruxelles mette avanti i 300 miliardi di RePowerEu per gli investimenti, ci sono ancora dei fondi non utilizzati del Piano di Rilancio, da destinare nei Recovery nazionali. Nella Ue sono stati spesi 540 miliardi dall’inizio della crisi energetica per attenuare la fiammata dei prezzi (50% dalla Germania, 30% dalla Francia, tra il 2% e il 4,5% per Danimarca, Italia, Spagna e Finlandia).

IL CONSIGLIO è stato tenuto sulla corda dalla minaccia della Polonia di bloccare la tassa del 15% sugli utili delle multinazionali, correlata al piano di condizionalità per l’Ungheria e al versamento di 18 miliardi all’Ucraina nel 2023 (1,5 miliardi al mese), appena approvato: alla fine Varsavia, che chiede lo sblocco dei 35 miliardi che le spettano per il Recovery, promettendo la tanto attesa riforma della giustizia, ha dato il via libera.

Sul tavolo, anche il nono pacchetto di sanzioni contro la Russia.

In fine, approvando le conclusioni del Consiglio affari generali, è stato concesso lo status di paese candidato alla Bosnia-Erzegovina. «Un segnale forte alla popolazione, ma anche una chiara aspettativa che le nuove autorità realizzino le riforme», ha commentato il presidente del Consiglio ue Charles Michel.