È «doveroso procedere celermente alla discussione e all’approvazione parlamentare di misure immediatamente deflattive del sovraffollamento, e facilmente applicabili, partendo dall’unica posposta al vaglio della Commissione Giustizia della Camera presentata dall’On. Giacchetti con cui si intende modificare l’istituto della liberazione anticipata nei termini grossomodo già sperimentati nel 2013, in conseguenza della condanna da parte della Cedu nel caso Torreggiani contro Italia». Contrariamente a quanto sostenuto solo pochi giorni fa dal Garante nazionale dei detenuti, Felice Maurizio D’Ettore, il Portavoce e il Direttivo della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali dei detenuti hanno pubblicato ieri, in un documento ufficiale, il loro endorsement alla pdl sulla liberazione anticipata speciale che porta la prima firma del radicale Roberto Giachetti (Iv).

«Indignarsi non basta più!», scrivono il Portavoce dei garanti territoriali, Samuele Ciambriello, che è anche il garante campano, e i membri del Direttivo – Luca Muglia, Bruno Mellano, Veronica Valenti, Valentina Farina, Francesco Maisto, Valentina Calderone – nel testo dove chiedono di intervenire immediatamente per «migliorare le condizioni delle carceri italiane, in nome della tutela della dignità umana». Al contrario, D’Ettore il 24 aprile scorso in commissione Giustizia ha argomentato il suo «no» alla liberazione anticipata speciale considerandola «un rimedio “sintomatico”, transitorio e di carattere contingente, già sperimentato nel 2013 a seguito della sentenza della Corte Edu Torreggiani», che «con tutta evidenza, mostra i limiti della sua efficacia deflattiva se, dopo pochi anni dalla cessazione della sua vigenza, i movimenti in ingresso ed i correlati tassi di sovraffollamento hanno ripreso a riproporsi in modo crescente». Piuttosto, secondo D’Ettore, occorre una «risposta sistemica ampia» ai problemi delle carceri.

Ma se, come scrivono i Garanti territoriali, l’indice di sovraffollamento è di nuovo «arrivato al 130,03%», se «il 64% delle persone che si sono tolte la vita negli ultimi due anni (34 quest’anno, 69 nel 2023, ndr) aveva commesso reati contro il patrimonio; il 60% dei suicidi si è verificato nei primi sei mesi di detenzione; il 40% dei suicidi si è consumato oltre i primi sei mesi, con una percentuale elevata nell’ultimo periodo di detenzione e l’interessamento di molti detenuti senza fissa dimora». Se, ancora, «le persone con patologie psichiatriche che si sono tolte la vita sono meno del 10%», sembra allora evidente che il riaffermarsi di una situazione emergenziale sia dovuto ad un approccio carcerocentrico della giustizia. E che per tornare ad uno Stato di diritto si richiedano intanto azioni immediate.

È evidente almeno al Presidente Mattarella che il 18 marzo scorso ha sollecitato «interventi urgenti» contro il sovraffollamento e i suicidi (e «per dare seguito al suo monito i Garanti territoriali si mobiliteranno ogni 18 del mese», ha annunciato ieri Ciambriello). Così come è evidente per il Pd che parla di «emergenza umanitaria» e per Magistratura democratica che ieri in un documento ha auspicato una risposta «nell’immediato» e «interventi di medio e lungo periodo», «in modo da poter riaffermare il volto costituzionale della pena e assicurare la dignità di ogni persona che si trova a vivere e lavorare in carcere». Le toghe progressiste sollecitano «la rapida approvazione» della liberazione anticipata speciale; la possibilità di sospendere l’«ordine di esecuzione della pena detentiva (ove essa debba essere eseguita in strutture sovraffollate)»; «l’approvazione di provvedimenti di clemenza», oltre che una serie di interventi strutturali.

A partire da «un potenziamento delle risorse umane», scrive Md. Forse anche questo non più rinviabile, come dimostra una volta di più la notte «ad alta tensione» che si è consumata tra domenica e lunedì nel carcere minorile Beccaria di Milano. I sindacati di polizia penitenziaria riferiscono di una «rivolta che ha coinvolto molti detenuti» dopo che uno di loro aveva dato fuoco alle suppellettili di una cella creando scompiglio e crisi di panico. La situazione ha richiesto l’intervento, oltre che dei vigili del fuoco, anche della polizia di Stato perché, secondo i sindacalisti, gli agenti penitenziari non erano in numero sufficiente. E forse anche non preparati adeguatamente. D’altronde, nell’inchiesta della procura per le torture sui giovani reclusi di cui sono accusati molti agenti arrestati, uno degli episodi di violenza si sarebbe consumato dopo un mini incendio simile a quello dell’altra notte.