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Fuori dall’assedio, come allora

Fuori dall’assedio, come alloraRagazza applaude a Milano durante la quarantena – Ap

Voglia di liberazione Il 25 aprile di 75 anni fa ha espresso la fine delle atrocità della guerra. Ma anche l'inizio della ricostruzione, le cui aspettative di eguaglianza e giustizia sono state in gran parte disattese

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 24 aprile 2020

L’età media di chi ha vissuto fisicamente il 25 aprile 1945, come il sottoscritto, è ormai piuttosto avanzata. Si può dire che sta per finire quella generazione e un’altra si afferma nella vita e nella società. Agli interrogativi di sempre oggi ci si pone anche il problema se è giusto e opportuno ricordare e celebrare il 25 aprile di fronte all’apparente egualitarismo imposto dal coronavirus che azzera le diversità del genere umano.

Ebbene sì, perché le avversità sanitarie, se attenuano i conflitti in nome di una esigenza di comune protezione fisica, non annullano differenze di visioni, di modi di vista, di classi. Soprattutto nel momento in cui ci si pone il problema di come tornare alla normalità una volta che fosse passata l’attuale fase devastatrice, ripensare alle origini della nostra democrazia diventa la via maestra per recuperare il senso di una comunità civile fuori dall’assedio dell’imponderabile.

Se io penso al mio 25 aprile del 1945 l’ho vissuto in un osservatorio privilegiato dove l’avvicendarsi in un paio di giorni di partigiani e partigiane jugoslave e soldati neozelandesi simboleggiava in una la coalizione che aveva sconfitto fascismo e nazismo e insieme il germe potenziale della guerra fredda. Il 25 aprile ha espresso la fine delle atrocità, ha garantito la libertà dalla paura, ha sancito la fine di orrende discriminazioni razziali, ma non ha di per sé garantito i livelli massimi di giustizia sociale che pure erano nell’attesa di grandi masse.

Il senso di liberazione del 25 aprile ha scatenato energie che hanno consentito la rapidità della ricostruzione di un Paese distrutto in molta parte del suo patrimonio edilizio, ferroviario, industriale. Richiamare oggi lo spirito del 25 aprile vuol dire ridare al Paese il coraggio di una ricostruzione morale oltre che materiale. Le generazioni che non hanno visto i partigiani devono attingere dallo spirito della Resistenza la forza e la volontà di ricostruire una comunità messa in pericolo da un nemico tanto insidioso quanto invisibile.

La forza del 25 aprile consiste nella forza del collettivo prossimo a un plebiscito con cui si espresse il senso di liberazione dall’oppressione di fascisti e nazisti. Ma sarebbe errato guardare al 25 aprile con una prospettiva rivolta al passato, ossia come a un fatto meramente celebrativo; in realtà lo spirito del 25 aprile va rivolto al presente e soprattutto al futuro come la linea di ispirazione di ogni agire collettivo e di ogni intervento comunitario contro qualsiasi rigurgito fascistoide o razzistico.

Soltanto guardando in avanti e non indietro possiamo dare un senso al 25 aprile come guida al futuro delle generazioni che non hanno vissuto di persona l’ebbrezza e l’entusiasmo della liberazione.

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