Nella notte tra domenica e lunedì, dopo aver sentito il discorso di Elly Schlein, Enrico Letta era al Nazareno a trascorrere le ultime ore da segretario del Pd. Interrogato circa l’anomalia di una segretaria eletta in controtendenza rispetto al voto degli iscritti al partito, ci ha detto che la cosa importante è l’ampia partecipazione, in tempi di astensione.

Girando tra i seggi e parlando con chi si è impegnato nella fase «aperta» del lungo percorso congressuale, viene da pensare che la spinta al cambiamento del Pd sia venuto da un surplus esterno al partito. Sono stati i non iscritti, e anche gli ex elettori delusi, a fare la differenza.

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La segretaria che viene «da fuori» e che dal corpo esterno del Pd è stata spinta fino ai piani alti del Nazareno suscita reazioni, curiosità, inconfessate speranze in chi non si riconosce nel Pd e si muove alla sua sinistra.

Come Claudia Pratelli, assessora all’istruzione al Comune di Roma eletta nella lista civica Roma Futura. «La prima segretaria – dice Pratelli di Schlein – Femminista, di sinistra, radicale. È una bella notizia per tutto il paese e per tutto il campo progressista, per chi crede che le culture politiche della sinistra si debbano contaminare, per chi crede nella politica ma pensa che serva cambiare tutto».

Si dice favorevolmente colpito anche Luca Blasi, assessore alla cultura al terzo municipio di Roma, proveniente dai movimenti sociali e oggi aderente a Sinistra italiana. «C’è stato un moto spontaneo pro-Schlein- riflette Blasi – Questa per noi è una buona notizia, perché rende meno indigesto l’accordo con il centrosinistra e sposta il dibattito interno del Pd. Se Schlein ne sarà capace sposterà anche il dibattito del paese. Anche se poi per fare le cose serve poi avere in mano la macchina organizzativa. E se chi l’ha voluta segretaria sta fuori dal partito potrebbe essere un problema».

«Elly Schlein ha infranto un soffitto di cristallo significativo a sinistra – dice Gabriele Piazzoni, segretario generale di Arcigay – Ha messo in cima alla lista delle priorità temi come la lotta alle diseguaglianze e il riconoscimento dei diritti civili e sociali. È un’ottima notizia, che ci fa sperare in un Pd, che superi i tentennamenti e le ambiguità».

Lorenzo Zamponi, sociologo che si occupa proprio di movimenti e partecipazione politica, fa notare su Jacobin Italia, rivista in genere non proprio tenera col Pd, che l’elezione di Schlein «dovrebbe far riflettere seriamente i dirigenti di qualsiasi forza organizzata della sinistra politica e sociale: centinaia di migliaia di persone di sinistra, non iscritte al Pd e in parte neanche suoi elettrici, hanno scelto, ognuna individualmente o su basi e relazioni completamente informali e non organizzate, di votare alle primarie di un partito che non è il loro».

Mario Ricciardi, analista e direttore della rivista del Mulino, evidenzia il paradosso di queste primarie: laddove il ricorso ai non iscritti era pensato come l’appello a un’area genericamente liberal in grado di controbilanciare le tendenze socialisteggianti dell’apparato di partito. «Uno dei peccati originali del Pd, figlio di una concezione neoliberale della politica, è quello di pensare che l’elaborazione delle policies e l’aggiornamento dei principi si possano dare in outsourcing – riflette Ricciardi – La cultura politica come il catering. Da affidare a soggetti o individui che offrono i propri servizi a buon mercato».

È finita che questa volta la pubblica opinione ha scelto il candidato più schierato a sinistra. Il che non cancella le contraddizioni tra dentro e fuori il Pd con cui Schlein dovrà cimentarsi.