Fuori dal lamento, ritrovare la via della forza sociale
Sinistra Anche se abbiamo ragione quando dubitiamo dell’altro, abbiamo torto se non ci stringiamo agli altri
Sinistra Anche se abbiamo ragione quando dubitiamo dell’altro, abbiamo torto se non ci stringiamo agli altri
Sebbene d’estate i riflessi s’appesantiscano e il pensiero fluisca stentato, noi ricercatori della sinistra perduta continuiamo la nostra ingrata esplorazione. Ingrata perché incontentabile. Perché non si rassegna a battere territori conosciuti, a girarsi e rigirarsi nel consueto ambito delle nostre stropicciate certezze. Si dirà che superare l’angusto perimetro in cui noi stessi ci siamo accartocciati è impresa difficile, o che fuori di esso c’è il rischio di smarrirsi o, peggio, di incontrare riluttanze e ostilità. Ma tant’è, chi oggi animosamente s’ostina a ritrovare la via non può pietosamente scoraggiarsi né invocare trascendenze, di santi o demoni che siano. E poi, scusate, sempre meglio camminare domandando, che incontrarsi in qualche segreta stanza o retrobottega o sottoscala. Meglio esprimere dubbi orizzontali, che stringere accordi verticali. Poiché per rianimare speranze e avviare nuove politiche, è di un processo collettivo che si necessita, di un fragore intelligente, di un entusiasmo sentimentale, di un grande incontro di sguardi consapevoli e sorrisi fraterni, di un progetto contagioso che accenda le volontà e scaldi i cuori.
Diversamente, adattiamoci ad assistere alla deriva dei relitti che a fatica nuotano tra approdi e naufragi, in attesa che venti e correnti li spingano a confluire in un unico risucchio. E’ questa la sinistra nuova? No, è la sinistra sopravvissuta che con modesto realismo cerca di sopravvivere ancora, invocando stagioni politiche consunte e agoniche. Non brilla e non squilla, anzi vacilla e si auto-distilla. Ma ugualmente s’acconcia e s’attrezza, sperando di raccogliere quel che nei suoi pressi si aggira disperso. E tutto il resto? Tutta quell’estesissima trama di esperienze e realtà associate? Le soggettività indomite ma disperse, i movimenti, i conflitti, le vertenze, i diritti? Il lavoro sfruttato, l’irriducibilità sociale, l’indignazione civica, la critica intellettuale, i luoghi resistenti, le comunità autogestite? Va da sé che senza questo patrimonio politico non ci potrà mai essere una sinistra nuova.
Eppure, l’impressione è che persista una separazione tra attivismo sociale e rappresentanza politica, una cesura che continua a rendere impossibile la rigenerazione della sinistra. Potremo elencare tutte le ragioni di questo impaccio, ma finiremmo per annoiarci e avvilirci. E allora facciamo finta di essere sani (come direbbe Giorgio Gaber) e sbarazziamoci della nostra valigia di perplessità (come direbbe Paolo Conte). Proviamo a ritrovarci e finalmente mischiarci. Non se ne può più di diffidenze, sospetti, recriminazioni, lamenti, dispetti e capricci, di tutto quel mortifero armamentario ideologico in cui coltiviamo i nostri meschini egoismi. Liberiamoci da noi stessi.
Anche se abbiamo ragione quando dubitiamo dell’altro, abbiamo torto se non ci stringiamo agli altri.
Per fare cosa, lo sappiamo. Con quali proposte e contenuti, pure. C’è da accumulare forza sociale e intellettuale per costruire un’alternativa politica. Alla destra comunque composta, al Pd variamente associato, ai cinquestelle con tutti i loro algoritmi al seguito. Le prossime elezioni politiche segneranno un passaggio storico per il nostro paese. E pur se approssimati, incompiuti e attardati, non possiamo disertarle. Come in Grecia e in Irlanda, in Spagna e in Portogallo, in Gran Bretagna e in Francia, e come in autunno in Germania. Possibile che solo da noi non si riesca a comporre un progetto di sinistra consistente e credibile? Proviamo a costruirlo e a diffonderlo nei territori sociali che abbiamo lasciato incustoditi, per colpa o incuria o supponenza che sia. Accogliamo l’appello di Anna Falcone e Tomaso Montanari e autoconvochiamoci: organizziamo assemblee, incontri, riunioni e raccogliamo impegni e disponibilità. Non sappiamo se potrà funzionare, ma sappiamo che può funzionare; e se non funzionerà dipenderà solo dalla nostra insipienza.
Poiché si può sempre decidere di continuare così. Accidiosi, incattiviti, cinici, malinconici, scettici, rinunciatari, eccetera. Potremmo continuare ad astenerci, incolleriti o inconsolabili, refrattari o agnostici, o semplicemente prigionieri della nostra vanità politica. Potremmo anche sostenere i cinquestelle per contrastare la destra e il Pd, oppure votare quest’ultimo perché in fondo resta il meno peggio. Potremmo disperderci in altre varianti, altri ingannevoli malintesi, altri patetici tatticismi. Potremmo. Per poi rammaricarci e lamentarci e forse disperarci: la sinistra italiana non c’è più, è morta, l’abbiamo finalmente uccisa.
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