Una settimana fa, durante la commemorazione per Jihna Mahsa Amini a 40 giorni dalla sua uccisione, la polizia aveva sparato sul lunghissimo corteo di protesta. Ieri è successo di nuovo, stavolta non nella città curda di Saghez, ma poco fuori Teheran: la protesta, organizzata come da tradizione per i 40 giorni dall’uccisione della 22enne Hadis Najafi, tiktoker e attivista, ha incontrato la repressione governativa.

Alle migliaia di persone in corteo in autostrada verso la città di Karaj, tra gli slogan «Morte al dittatore» e sassi lanciati sulla polizia, le forze di sicurezza hanno risposto con fuoco aperto sulla folla, strade chiuse, ingresso al cimitero di Behesht Sakineh bloccato. E, secondo testimoni, agenti in borghese armati di machete.

Video pubblicati sui social media mostrano anche un elicottero della polizia lanciare granate stordenti per disperdere la folla. Dopo l’atterraggio, sarebbe stato utilizzato per portare via gli agenti feriti. Tre, secondo l’agenzia semi-statale Tasnim, a cui secondo Fars news si aggiungerebbero un paramilitare della famigerata milizia Basij accoltellato a morte.

Non cambia dunque la risposta di Teheran alla rivolta. E i numeri crescono: si parla ormai di 277 morti accertati da metà settembre. L’ultimo ieri, secondo quanto riportato dall’associazione per i diritti dei curdi Hengaw: il 18enne Momen Zandkarimi della città di Sanandaj, nel Rojhilat, il Kurdistan in Iran.

Lo scorso fine settimana era stato ucciso il 16enne curdo Kumar Daroftateh, colpito dal fuoco della polizia a Piranshahr. Il padre sarebbe stato arrestato dopo i funerali: in un video si diceva «orgoglioso che mio figlio sia morto per la libertà della sua terra».

È questo l’altro l’allarmante dato: gli arrestati. Secondo il relatore speciale dell’Onu per i diritti umani in Iran, Javaid Rehman, sarebbero oltre 14mila tra attivisti per i diritti umani, studenti, avvocati, giornalisti (51, riporta il Committee to Protect Journalists, di cui 14 rilasciati su cauzione). Di questi un migliaio saranno sottoposti a processo pubblico a Teheran. In cinque rischiano una condanna alla pena di morte.