Lucca Comics si è aperta regolarmente l’altro ieri. Ci assicurano che nonostante Zerocalcare è tutto a posto, i biglietti venduti superiori alla media degli ultimi anni, le cosplay, i firmacopie. Arrivano altri segnali contraddittori. Un discorso inaugurale del ministro degli esteri, per esempio, sul tema «la cultura non può mai essere politicizzata». Cronache sul/contro il boicottaggio che esibiscono un sovrappiù di nervosismo e vittimismo. Zerocalcare? Insulso, ingiustificabile, noioso, a scoppio ritardato. Fumetti brutti? «È una disegnatrice trans», si è letto da qualche parte. Ci arriviamo.

C’è una cosa davvero interessante nei post coi quali Zerocalcare e Fumetti Brutti hanno annunciato giorni fa la loro non partecipazione alla manifestazione. È la limpidezza con la quale spiegavano che si tratta di una scelta personale. Non implica né sollecita partecipazione e tifo. «Non è una gara di radicalità – scriveva Michele Rech sul suo facebook – e da parte mia non c’è nessuna lezione o giudizio morale verso chi andrà a Lucca». «Se nella vita si fanno dei compromessi (io stessa ne ho fatti tanti) – riflette Josephine Signorelli – su questo non riuscirei a dormirci la notte». Una specie di preambolo antiretorico, caso di coscienza, se volete il ritorno del vecchio arnese del boicottaggio (così anni Ottanta, ma perché mi vengono in mente i pompelmi Jaffa?).
Tutto, ma il dibattito no.

Il dibattito sulla guerra in corso nelle nostre tv viaggia al livello più basso possibile. È incredibilmente (inutilmente) violento, ogni parvenza di umanità sacrificata in nome del modello retorico Fallaci/Scontro di Civiltà, déjà vu fino alla nausea per quelli che l’hanno già vissuto dai tempi dell’Iraq a oggi. Bloccato attorno alla necessita preventiva di «condannare Hamas», adesso con in canna pure l’argomento Lgbtq+ (psichedelico in bocca di chi ne ha già fatto uno sguaiato cavallo di battaglia al contrario), e il ricorso sempre possibile all’arma fine di mondo dell’antisemitismo contro tutti i «ma» e i «però» della sinistra.

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Cosiddetta sinistra, dal momento che per quelli che conoscono un poco il luna park di Rete4 – il laboratorio del mondo ridotto a talk – laggiù la sinistra è poco più che una finzione retorica della destra, che fa il casting, sceglie gli argomenti, invita gli ospiti (con il sospetto che, in certi casi, li crei del tutto).  Temo che sia difficile tirarsi fuori da questa roba perché «non guardo più la televisione». Ai vecchi tempi qualcuno l’aveva venduta, preferiva leggere, passeggiare, beata gioventù. Non so neppure se il livello del dibattito sui social a proposito della guerra sia tanto più alto di quello sulle tv. Sicuramente ci è più vicino.

Nel borsino delle opinioni su Gaza, le prese di posizioni di Zerocalcare e Fumetti Brutti hanno prodotto reazioni prevedibili per chi ha dimestichezza col luna park portatile dei social. Non condannano abbastanza Hamas, poco lgbtq (di nuovo?!), per qualche campione dello stare al mondo sarebbero «mosse di marketing» qualsiasi cosa voglia dire. È la stessa agenda del Retequattrismo con poche variazioni. Interpretata spesso da persone che il social ci segnala come «amici». Pensa gli altri, allora.
Il dibattito no.

Nella depressione generale, raddoppiata dal suono lontano dell’apocalisse, per Zerocalcare e Fumetti Brutti si era alzato un applauso timido dalla nostra sgarrupata curva tifosa. Noi per chi facciamo il tifo, esattamente? Per i ragazzi di Gaza? Per i ragazzi del rave party del Negev? Per entrambi, è ovvio. Per i ragazzi. Per tutti. Basterà? Rispondere soltanto alle nostre coscienze come fa Zerocalcare, come ho letto l’altro giorno in un pezzo di Valeria Parrella su queste pagine, sarà sufficiente a non farci strangolare dalla commediaccia brutta che c’è intorno? Come Fumetti Brutti, dispiacersi perché «non riusciremo a tenerci per mano e abbracciarci» è ancora il restiamo umani di Vittorio Arrigoni? Non cambia mai niente.

Osservando il corteo di Roma sabato scorso, sembrava così inservibile la vecchia retorica messianica delle terre promesse (cos’altro sono state per noi Israele e la Palestina?). Si avanza intanto quella nuovissima delle seconde generazioni che popolavano lo spezzone certamente più importante del (discusso/discutibile) corteo, la testa coi «palestinesi» , lo striscione e il camion della musica. Gli italo-tunisini, italo-marocchini, gli italo qualcosa, i palestinesi per famiglia e condizione.

Un amico mi gira l’account Instagram Fronte Maranza per la Liberazione della Palestina. È tutto trap, bandiere, canzoni. È ironico, è serissimo. Racconta un mondo da decifrare ancora, sarebbe bello farlo. Segnalo che siamo in ritardo: sono gli stessi ragazzi italo qualcosa da tempo sotto la lente del Retequattrismo e della destra peggiore come incubo, baby gang, fantasmi di una terra che non c’è ancora per nessuno, che nessuno ha promesso.