Fukushima non è ancora finita
Dieci anni dopo L'11 marzo 2011 il disastro della centrale giapponese: l’incidente più grave di tutta la storia dell’energia nucleare tanto che ancora oggi non si vede una via d’uscita
Dieci anni dopo L'11 marzo 2011 il disastro della centrale giapponese: l’incidente più grave di tutta la storia dell’energia nucleare tanto che ancora oggi non si vede una via d’uscita
Dieci anni fa, l’11 marzo 2011, i media di tutto il mondo riportavano la notizia del terremoto e dello tsunami che generarono il disastro nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Nonostante la gravità dell’evento, «certificata» dalle immagini dell’esplosione del reattore n.1, si cercò di minimizzare il fatto che furono coinvolti in modo grave quattro reattori nucleari, in tre dei quali si verificò la fusione del nocciolo con conseguente fuoriuscita dell’uranio fuso dal vessel (contenitore di acciaio), cosa che fu ammessa dalla Tepco solo due mesi dopo.
DAL PUNTO DI VISTA della sicurezza dei reattori, quello di Fukushima resta l’incidente più grave di tutta la storia dell’energia nucleare tant’è che a dieci anni di distanza non si vede ancora una via d’uscita. L’idrogeno prodotto nell’incidente ha scoperchiato e semidistrutto gli edifici dei reattori n.1, 3 e 4. Il dato accertato è che i reattori n.1, 2 e 3 hanno subito il meltdown del nocciolo (l’unità n.4 era spenta per manutenzione e tutte le barre di combustibile erano trasferite nella piscina di decontaminazione, che peraltro venne gravemente danneggiata).
IL VESSEL D’ACCIAIO (spesso 16 cm) dei tre reattori ha ceduto e il combustibile nucleare fuso (corium) è passato, in misura diversa, nel contenitore primario e nel basamento di cemento, trascinando con sé detriti cementizi e parti metalliche.
L’incidente mise fuori uso i circuiti di refrigerazione: i tre noccioli devono venire raffreddati da un flusso d’acqua costante nel vessel, per cui l’acqua esce gravemente contaminata e viene raccolta in migliaia di cisterne che hanno saturato l’area dell’impianto. Ad oggi si contano più di un milione e 100mila tonnellate di acqua che, data la mancanza di spazio, si vorrebbero scaricare in mare. Nelle piscine di due dei tre reattori danneggiati è ancora presente il combustibile irraggiato, un grave handicap per qualsiasi azione futura si voglia intraprendere.
TUTTAVIA L’OSTACOLO principale all’avvio di un vero e proprio decommissioning degli impianti è rappresentato dai detriti che si sono accumulati all’interno dei tre reattori per un totale di oltre 860 tonnellate di materiali altamente radioattivi che hanno ostacolato finora qualsiasi tentativo di inviare nei reattori sonde robotizzate per determinare la configurazione dell’ammasso di corium, perché le apparecchiature non hanno retto agli altissimi livelli di radioattività o perché hanno incontrato barriere insormontabili: senza conoscere con precisione queste configurazioni non è possibile avviare operazioni di graduale estrazione di questi materiali.
La Tepco ha commissionato un lungo braccio robotico articolato in Gran Bretagna, dove da tempo problemi analoghi si presentano per il decommissioning del sito nucleare di Sellafield. Il braccio è stato appositamente costruito da Mitsubishi Heavy Industries in collaborazione con Oxford Technologies (Gb), è lungo 20 metri con sei segmenti snodati e può essere dotato all’estremo di pinze o spazzole o dispositivi per scavare o raccogliere.
La roadmap prevede di iniziare con il reattore n.2, il cui edificio non è stato distrutto e offre maggiori possibilità di contenere le sostanze radioattive da rimuovere.
IL BRACCIO SARÀ AZIONATO con controllo remoto e dovrebbe penetrare da un’apertura esistente nel contenitore del reattore per estrarre via via parti dei detriti collocandoli in appositi box schermati (questi materiali non devono assolutamente entrare in contatto con l’ambiente esterno). Difficoltà, incognite e imprevisti sono inimmaginabili: è stata perfino costruita una copia del contenitore primario per eseguire delle prove, ma la geometria interna potrebbe essere stata cambiata dall’incidente per cui qualsiasi previsione di fine lavori è un esercizio retorico e i 50 anni stimati dalla Tepco una pia illusione.
Dal confronto a distanza tra gli incidenti di Fukushima e di Chernobyl, di cui ad aprile ricorrono 35 anni, emerge una situazione paradossale per quanto riguarda le sorti dell’energia nucleare: la tecnologia russa è completamente risorta dalle ceneri di Chernobyl (oggi i reattori VVER sono considerati i migliori al mondo), mentre la tecnologia occidentale non riesce ancora a risollevarsi dalle conseguenze devastanti di Fukushima, sia che ci si riferisca ai mastodontici EPR francesi, sia che si prendano per buone le promesse dei nuovi reattori modulari della General Electric.
Tuttavia mai sottovalutare l’eclettismo di monsieur le capital che nell’idea di transizione ecologica che oggi va per la maggiore sta tentando di inserire il rilancio dell’energia nucleare spacciandola per carbon free: per questo non va sottaciuta la minaccia reale che rappresenta ancora oggi Fukushima per la popolazione giapponese e per tutto l’ambiente circostante a cominciare da quello marino.
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