Negli ultimi mesi la Corte di giustizia dell’Unione europea ha scagionato in due casi l’agenzia europea Frontex per le violazioni a danno di persone migranti. In un caso la Corte ha ritenuto inammissibile il ricorso di un cittadino siriano posto su una zattera con altre ventuno persone dalle autorità greche e mandato illegalmente verso la Turchia mentre i velivoli di Frontex assistevano all’operazione lasciando che si svolgesse indisturbata.

Nonostante il ricorso presentasse anche la documentazione fotografica del respingimento raccolta dal gruppo di giornalismo investigativo Bellingcat, la corte ha ritenuto di non dover procedere contro Frontex per insufficienza di prove, tralasciando di considerare che durante un respingimento in mare è impensabile che i migranti siano nelle condizioni mentali e fisiche di riprendere la scena per poi eventualmente provare le violazioni a cui sono stati sottoposti.

Nell’altro caso la corte di Lussemburgo ha sostenuto che Frontex non aveva colpe per il respingimento illegale dalla Grecia in Turchia di una famiglia siriana. Sebbene fosse stato proprio lo staff di Frontex a mettere su un aereo la famiglia siriana separando i bambini dai genitori e impedendo loro di presentare domanda d’asilo in Grecia, la Corte ha detto che nel farlo stava solo sostenendo le autorità greche che avevano preso la decisione riguardante il trasferimento, e che dunque l’agenzia non aveva alcuna responsabilità.

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L’opinabile posizione della Corte in queste ultime pronunce non suscita purtroppo alcuna sorpresa, dal momento che nessuno dei ricorsi presentati contro Frontex dalla società civile negli ultimi anni è sfociato in un avanzamento dei diritti dei migranti contro le violazioni dell’agenzia. Per comprendere questo stallo nella tutela giudiziale, non si può di certo invocare un’impeccabile gestione dei flussi migratori da parte di Frontex: in contrasto coi suoi obblighi di rispetto dei diritti fondamentali, il coinvolgimento dell’agenzia nei respingimenti e nei rimpatri illegali è stato ampiamente documentato sia dal giornalismo investigativo sia dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode.

Le ragioni di questa persistente impunità si annidano invece nella stessa architettura giudiziaria dell’Ue che ha creato un vicolo cieco per i migranti che chiedano protezione dagli abusi delle agenzie.

Le agenzie europee operanti nell’immigrazione (Frontex, l’agenzia europea per l’asilo e Europol) sono state istituite con lo scopo di supportare le autorità nazionali in diverse fasi della gestione delle frontiere. Tale compito però non sempre si traduce nella pratica in attività svolte sotto la supervisione delle autorità nazionali.

Lo staff Ue è infatti sempre più presente nelle fasi cruciali delle procedure alle frontiere quali l’intercettazione in mare, la comunicazione di informazioni agli sbarchi, la conduzione dei colloqui coi richiedenti asilo, il rimpatrio verso paesi terzi. In tutte queste fasi di interazione diretta coi migranti vi è la possibilità concreta di incorrere in violazioni, ma portare le agenzie di fronte a una Corte che le giudichi è un’impresa quasi impossibile.

Le strade in teoria sono tre. La prima sarebbe appunto il ricorso alla Corte di Lussemburgo che però, secondo quanto sostengono i trattati Ue, può rivedere gli atti delle agenzie europee solo se questi atti sono «finali» e non di mero supporto a decisioni nazionali. Ufficialmente infatti gli atti di Frontex e delle altre agenzie sono atti preparatori di misure nazionali, nonostante la loro influenza sia sempre più pervasiva e distinguere chi stabilisca e chi faccia cosa è estremamente difficoltoso. Ne è stato esempio la tragedia di Cutro, in occasione della quale la cooperazione tra Frontex e la guardia costiera italiana ha consentito a entrambi di fare a scaricabarile.

La seconda strada sarebbe portare le agenzie di fronte alle corti nazionali. Neppure questo rimedio è però praticabile, dato che, secondo l’orientamento consolidato della Corte di giustizia le corti nazionali non possono annullare gli atti dell’Ue e dei suoi organismi, al fine di salvaguardare l’omogeneità dell’ordinamento europeo. Anche le porte di Strasburgo rimangono chiuse: l’Unione Europea non è parte della Convenzione europea dei diritti umani (Cedu) e dunque le sue agenzie sono sottratte alla giurisdizione della Corte Europea dei diritti umani, nonostante tutti gli stati membri individualmente vi siano soggetti.