«Cara madre,
al momento sto viaggiando con una compagnia di circo. A volte lavoro come clown con grande successo, a causa del mio accento. Tutti gli artisti sono molto amabili e mangio i miei pasti con loro. Dormo nella stessa casa dell’elefante. Mi sto divertendo enormemente: pettino l’orso, lavo l’elefante e scendo ogni giorno al fiume per abbeverare i cavalli. Viaggerò ancora per qualche tempo con il circo.. poi salirò nelle regioni dei banditi. Secondo le informazioni della polizia sono quattrocentottanta, ma non toccano un povero straniero. Con amore, Fridolin»

La lettera in questione, datata diciotto luglio del 1953 e spedita da Cagliari, è firmata dal danese Andreas Fridolin Weis Bentzon. Il quale a soli diciassette anni era già al suo secondo viaggio in Sardegna, in quanto un anno prima era sbarcato nell’isola da solo, mentre la madre era impegnata come guida turistica a Roma. Quel primo contatto del 1952 fu un vero e proprio rito di iniziazione: tornato a casa nel quartiere di Gentofte, periferia di Copenaghen, con somma sorpresa dei genitori aveva esclamato «I’ve found the subject of my life». E l’oggetto delle attenzioni di una vita intera, la Sardegna lo divenne realmente. Al punto tale che nei suoi percorsi, incontrando il plurimillenario strumento tradizionale delle launeddas, le salvò dall’oblio della storia in cui stavano precipitando durante gli anni cinquanta.

La storia di Bentzon ha davvero dell’incredibile. La lettera nella quale documenta la sua presenza nel circo Zanfretta nel 1953, con il quale scopre vaste zone dell’isola mentre si guadagna da vivere, è il preludio di un ulteriore viaggio nel 1955. L’incontro con le comunità pastorali nel suo lungo peregrinare nelle aree rurali, stimola sempre più la curiosità di Fridolin che, avvinto dal suono ipnotico delle launeddas, prepara un’apposita missione di ricerca con l’intento di conoscere e registrare i suonatori dello strumento a fiato. Determinato a realizzare il suo progetto, il sette novembre del 1957 parte da Copenaghen a bordo di una Nimbus, una moto tanto vetusta quanto affidabile, che aveva modificato sostituendo l’abitacolo del sidecar con una cassa in legno dove poter riporre attrezzature e bagagli. La sua discesa verso la penisola, che compie attraversando dapprima una Germania con ancora ben evidenti i drammatici segni della seconda guerra mondiale e superando poi le Alpi innevate, avviene in undici giorni. Arrivato in Sardegna, vi rimane per oltre sei mesi, incontrando e registrando tutti i più importanti suonatori di launeddas viventi.

I quali erano concentrati in buona parte nel sud ovest dell’isola tra oristanese e campidanese, dove Fridolin svolse la maggior parte del suo lavoro di stampo etnomusicologico. Proprio in quanto realizza è insita la grandezza del suo operato: va rammentanto che all’epoca Bentzon, nato nel 1936, ha solamente ventuno anni e non ha una formazione accademica di stampo etnografico. Ciò nonostante, crea e struttura un valido metodo di ricerca sul campo degno di etnomusicologi ben piú esperti. Entra in contatto con la quasi totalità dei suonatori di launeddas, comprende chi e come di questi possa essere utile al suo operato e chi possa essere da lui assunto nella veste di «informatore» culturale e musicale. Anche le tecniche e le metodologie di raccolta delle registrazioni audio e video, sono organizzate in modo sorprendentemente dettagliato. Bentzon annota in modo certosino ogni sessione di incisione e non solo, descrivendo con esattezza il profilo caratteriale dei musicisti che incontra ed il contesto socio-economico in cui vivono.

Fondamentale in questa direzione è la sua capacità di costruire rapporti, conseguenza oltre che di innate capacità empatiche, di una sensibilità musicale non indifferente, essendo lui stesso musicista in patria. Per la precisione, contrabassista nella band del fratello Adrian, con il quale condivide in pieno la nascita della scena jazz danese ad inizio anni cinquanta. Quanto compiuto durante la missione, diventerà nel 1969 la tesi per il dottorato di ricerca. Si tratta di un doppio volume intitolato The Launeddas, a Sardinian Folk Music Instrument, dove nel primo tomo sono incluse le informazioni e le annotazioni degli incontri effettuati sul campo, mentre nel secondo sono presenti le partiture musicali delle registrazioni. «Quanto fatto da Bentzon, ha creato un nuovo rinascimento delle launeddas. Il suo libro ha dato tutti gli strumenti necessari a chiunque mostri interesse in tal senso. Ha avuto due esiti: il primo è stato infondere nuovo coraggio ai suonatori, il secondo è stato permettere ai giovani di interessarsi a questo argomento. Se negli anni ottanta vi erano non più di dieci musicisti ed oggi abbiamo centinaia di ragazzi che suonano le launeddas è un suo merito».

A parlare così è Dante Olianas, traduttore e ricercatore di lunga data delle attività di Fridolin, nonché autore di numerosi prodotti multimediali legati alla sua figura. Ad Olianas si deve la traduzione in italiano del testo sopra citato, stampato con il titolo Is launeddas oltre ad una serie di altre uscite, tra cui il recente film documentario La Sardegna e le launeddas ed il libro Antonio Lara – Il più grande maestro di launeddas del XX secolo?. Proprio in quest’ultimo, diviene protagonista la figura del suonatore Antonio Lara, con il quale Bentzon intesse un rapporto sincero. Al punto tale che nel corso degli anni l’epistolario intercorso tra i due racconta di un’amicizia profonda, che va oltre le scritture di stampo lavorativo, tra l’altro interessantissime come testimonia la lettera in cui Lara costruisce i tumbus, parte delle launeddas, destinati al leggendario jazzista Rahasaan Roland Kirk in quegli anni residente a Copenaghen ed amico di Bentzon: «Lara ha ospitato ripetutamente Fridolin in casa sua. Per l’anziano suonatore, all’epoca settantaseienne, Bentzon era quasi come un figlio. Avevano l’un con l’altro stima reciproca. Inoltre Lara è stato il musicista più registrato in assoluto. Le sue sessioni rappresentano il venticinque percento del totale realizzato da Fridolin».

Non casualmente: assieme al suo alter ego di allora Efisio Melis, Antonio Lara è considerato nell’ambito uno dei nomi più importanti di sempre. Naturale quindi che Bentzon lo cercasse. Lara ripagò enormemente la sua fiducia, introducendo il danese agli aspetti più reconditi della tradizione, quelli sospesi a metà tra fantasia e magia e usualmente tenuti ben celati nella tradizione di storia orale locale. E proprio tali passaggi, che si aggiungono ad una attenta analisi del musicista Lara in relazione con il ricercatore Bentzon, sono ben raccontati nel recente libro dedicato all’anziano maestro. Il quale non ebbe remore a fidarsi del giovane studente dotato di così tanto talento. E Bentzon non lo tradì, capace di cambiare il corso delle cose per le launeddas, avendo a disposizione soltanto un datato registratore Tandberg a molla, una cinepresa Afga Movex a manovella che filmava non più di diciassette secondi e venti pellicole scadute su cui incidere, ricevute in regalo da negozi fotografici del posto.