Francia, la campagna non decolla. Ma le polemiche sì
Verso le elezioni Testa a testa tra Macron e Le Pen negli ultimi sondaggi. Sinistra divisa in 7
Verso le elezioni Testa a testa tra Macron e Le Pen negli ultimi sondaggi. Sinistra divisa in 7
La campagna elettorale per le europee, ufficialmente aperta da lunedì, tarda a decollare in Francia, mentre i sondaggi confermano il rischio di una nuova forte astensione, in linea con il passato. Le polemiche invece prosperano. L’ultima, ieri, riguarda la presenza all’ultimo dibattito tv, mercoledì prossimo, su France2 (rete pubblica, che deve rispettare l’equità tra candidati definita dal Consiglio superiore dell’audiovisivo): tre candidati (Lagarde dell’Udi centrista, Dupont-Aignan di Debout la France ex alleato di Le Pen e Benoît Hamon di Génération.s) hanno deciso di boicottare la trasmissione, perché sono stati relegati in seconda serata, tra i «piccoli». Scontento anche Ian Brossat, del Pcf, che sta facendo una buona campagna sui contenuti, anche se i sondaggi non lo stanno premiando. France 2 ha scelto di privilegiare un primo dibattito a sei, i più grossi, per evitare la cacofonia di troppe voci sulla stessa scena. Difatti, le liste sono 34 (quest’anno in Francia c’è una sola circoscrizione nazionale, nel 2014 le liste erano state in media 24 nelle otto circoscrizioni in cui allora era diviso il paese).
Ma la sera del 26 maggio tutti gli occhi saranno puntati sul combattimento tra Lrem (République en Marche) e Rassemblement National, visto come una partita di ritorno del secondo turno delle presidenziali, tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen. Nessuno dei due è capolista, ma Lrem ha stampato 60mila manifesti con la foto di Macron (e senza la controversa numero 1 di Renaissance, l’ex ministra Nathalie Loiseau) e Marine Le Pen è presente in fondo alla sua lista ed è in prima fila sugli schermi (il capolista di Prenez le pouvoir è il giovanissimo Jordan Bardella, che dopo un inizio di campagna in tromba è già un po’ stabilizzato). I sondaggi, per quanto valgono, danno le due liste testa a testa, intorno al 22-23%. Macron è sceso nell’arena.
Cercando di sfruttare il principale slogan dei gilet gialli, «Macron dimissioni», per Marine Le Pen se perde deve dimettersi. E intanto nasconde precipitosamente un selfie con un suprematista dell’Estonia, dove si era fatta riprendere mentre faceva il gesto del White Power, Okkk, già visto nella campagna di Trump e fatto dal terrorista di Christchurch.
Il movimento dei gilet gialli, che dura da sei mesi, non avrà direttamente successo nelle urne. Tre liste sono espressione diretta dei gilet gialli: Alliance jaune, guidata dal cantante Francis Lalanne, il Mic (Mouvement pour l’initiative citoyenne) che propone il Ric (referendum di iniziativa cittadina), con candidati tirati a sorte e Evolution citoyenne, dove c’è Christophe Chalençon, il gilet paragolpista incontrato da Di Maio. Poi ci sono candidati che fanno riferimento ai gilet in altre liste: in particolare Ensemble patriotes et gilets jaunes, pour la France sortons de l’Union européenne, di Florian Philippot, ex braccio destro di Marine Le Pen ai tempi della presidenziale, dove il gilet Jean-François Barnaba vestito con l’emblema della rivolta è sul manifesto, Benjain Cauchy, figura dei gilet presente sulla scena politica dal referendum del 2005 sul Trattato costituzionale della Ue, è in posizione eleggibile con il sovranista Dupont-Aignan, il difensore del Ric, Etienne Chouard è in Ensemble pour le Frexit di Asselineau, ma anche La Ligne Claire, dell’estremista di destra Renaud Camus, ha un candidato gilet giallo.
La France Insoumise si è schierata con i gilet gialli, ma stando ai sondaggi non sembra approfittarne elettoralmente, viaggia tra il 7 e il 10-11%, cioè rischia di dimezzare i voti rispetto a Jean-Luc Mélenchon al primo turno della presidenziale del 2017. La capolista è la giovane Manon Aubry, che viene da Oxfam. Ma ieri a gestire la crisi suscitata dalle dichiarazioni di un eletto della France Insoumise, Andréa Kotarak, che invita a votare Rassemblement National per «sbarrare la strada a Macron», è stato Mélenchon: «Un colpo montato» (ma ne ha chiesto le dimissioni).
La sinistra arriva divisa in sette chiese alle europee, Europa Ecologia sfida La France Insoumise per il primo posto, il Ps-Place Publique, con Raphaël Gluksman, e Génération.s con Benoît Hamon sperano di superare lo sbarramento del 5%. Lutte ouvrière si batte per l’internazionalismo, Contre le capital.
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