Francia, agonia senza fine 81 firme per cacciare Macron
Francia Il presidente non scioglie il rebus del governo. Scartato anche il repubblicano Bertrand
Francia Il presidente non scioglie il rebus del governo. Scartato anche il repubblicano Bertrand
Un’altra giornata di “test” all’Eliseo, per trovare un primo ministro a 50 giorni dalle dimissioni del governo Attal, mentre i tre blocchi in cui è divisa l’Assemblée Nationale uscita dal voto anticipato continuano a non accettare di dialogare tra loro e il Nuovo Fronte Popolare, arrivato in testa, attende sempre la nomina della sua candidata, Lucie Castets, bocciata da Emmanuel Macron. Sul filo di lana, ieri sera c’erano ancora due nomi, che già circolano da giorni: Bernard Cazeneuve, ex socialista e primo ministro con François Hollande, da un lato, dall’altro Xavier Bertrand, anche lui un va e vieni dal suo partito di appartenenza, i Républicains (Lr), ora presidente della regione Hauts-de-France.
MA PER ENTRAMBI C’È lo stesso rischio: una “censura” da parte dei due blocchi rivali, che sono pronti a coalizzarsi per opportunismo. In sostanza, questa tattica sta dando al Rassemblement National il ruolo di arbitro: l’estrema destra è il primo gruppo nella nuova Assemblea e nessuno passerà senza un impegno – almeno momentaneo – di non sparare a zero alla prima occasione da parte del partito di Marine Le Pen. Per aggirare l’ostacolo, ieri sera circolavano ancora altri nomi, come surprise du chef: David Lisnard, sindaco di Cannes e anche presidente dell’Associazione dei sindaci di Francia, apparentato Lr, alla testa di un partitino “Nuova Energia” che abbina anti-wokismo e libera impresa, lotta alla burocrazia e una sensibilità ecologica (la campagna «qui comincia il mare»).
IN SERATA, È PERSINO stato evocato il nome di Michel Barnier, sempre Lr, che è stato commissario europeo e negoziatore del Brexit per la Ue, ma in una recente campagna elettorale aveva affermato, gettando i suoi nella confusione, la priorità delle leggi nazionali su quelle comunitarie (che equivale a un Frexit). Macron ha una sola idea in testa: trovare un nome che non disfi quello che è stato fatto in sette anni, la politica pro-business, la riforma delle pensioni.
L’ATTESA SI PROLUNGA, anche se “il” nome era atteso in serata. L’ex leader di Europa Ecologia, Cécile Duflot, ha scherzato: «Non è più una ricerca di un nome ma è la caccia al dahu e puo’ durare a lungo» (il dahu, animale mitico e immaginario ben conosciuto nelle Alpi al confine tra Francia e Italia, è un camoscio con le gambe a monte più corte e a valle più lunghe, per poter camminare sulle montagne, ne esistono due categorie, quelli che girano in senso orario e quelli antiorario, che non si incontrano mai e non possono accoppiarsi). Il problema è cercare un nome invece di concentrarsi sul programma, dicono i critici. Gabriel Attal, primo ministro dimissionario, ha presentato il proprio bilancio, di sei mesi di potere: «Promesse mantenute» afferma, a cominciare dall’inscrizione dell’interruzione volontaria della gravidanza nella Costituzione.
LA FRANCE INSOUMISE ha presentato le firme, un’ottantina, per la domanda di destituzione di Emmanuel Macron, per «mancamento grave al dovere di rispetto della volontà espressa dal suffragio universale», ci sono gli amici ed ex amici di Mélenchon, dei Verdi e qualche Pcf, ma nessuno del Ps. Oggi la richiesta verrà passata al vaglio della ricevibilità (un’analoga iniziativa contro François Hollande era stata respinta). Si ricama sull’ipotesi di dimissioni di Macron: se il presidente non riesce a trovare un’uscita dalla crisi politica, che il mondo politico gli scarica completamente sulle spalle – «elezioni anticipate azzardate», dicono in coro destra e sinistra – la soluzione è il suo ritiro, se all’indecisione di queste settimane si sommerà una sequenza di governi che cadono uno dopo l’altro. Così, il primo a tirare è stato ieri Edouard Philippe, un oscuro sindaco di Le Havre di destra che Macron ha nominato primo ministro durante il suo primo mandato.
Philippe è il primo ministro che ha acceso la miccia che ha fatto esplodere i gilet gialli, con la decisione di ridurre la velocità massima sulle strade dipartimentali a 80 km l’ora (invece di 90). Adesso dice che avrà proposte «enormi», ma non precisa. E’ considerato un opportunista, che vuole approfittare della debolezza di Macron per mettersi in avanti, evocando Georges Pompidou (che si era dichiarato candidato molto in anticipo sulla scadenza elettorale, poi De Gaulle si era dimesso in seguito al referendum perso nel 1969). Philippe è preoccupato per il debito pubblico, 3160 miliardi, il ministro dimissionario delle Finanze, Bruno Le Maire, ha lanciato l’allarme sulla deriva del debito, già sotto osservazione di Bruxelles.
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