«Il mondo impari a costruire la pace, anche limitando la corsa agli armamenti e convertendo le ingenti spese belliche in sostegni concreti alle popolazioni». Il tema della guerra ha dominato le parole di papa Francesco al Congresso mondiale delle religioni che si chiude oggi in Kazakistan. Il focus dell’evento avrebbe dovuto essere il ruolo dei leader religiosi nelle conseguenze del covid, ma l’attualità bellica ha preso il sopravvento. «Non abituiamoci alla guerra, non rassegniamoci alla sua inevitabilità… – ha detto Bergoglio – Cos’altro deve succedere, quante morti ci si deve aspettare prima che il confronto lasci il posto al dialogo a beneficio delle persone, dei popoli e dell’umanità?».

Mentre il papa concentrava la sua attenzione al principale conflitto che insanguina l’ex-Urss . «Penso a tanti luoghi stanchi della guerra, soprattutto alla cara Ucraina» ha ribatdito, intanto si sono riaccesi i focolai di tensione nel Caucaso.

Lunedì l’Azerbaigian ha iniziato una nuova offensiva contro l’Armenia attorno alla regione del Nagorno-Karabakh, per oltre vent’anni rimasta separata dalla sovranità di Baku e riconquistata manu militari nel 2020. Il conflitto è altamente simbolico poiché le ragioni dei due contendenti vengono sovente declinati in termini della loro appartenenza al mondo islamico e cristiano. «Continuiamo a pregare perché anche in quei territori la pace e l’armonia prevalgano sulle contese» ha dichiarato il papa con esplicito riferimento alla nuova crisi.

Martedì, nella sua prima allocuzione pubblica per i membri della comunità diplomatica, il papa aveva invocato «un nuovo spirito di Helsinki». Il riferimento è alla Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), svoltasi nella capitale finlandese nel 1975, momento chiave della Guerra fredda in cui i rappresentanti di tutti i paesi dei due blocchi contrapposti convennero su una serie di misure per il disarmo ed il miglioramento delle relazioni tra l’Oriente del socialismo realizzato e l’ Occidente capitalista.

«La comunità internazionale avrebbe bisogno di simili leader, pronti a far di tutto per stabilire un dialogo tra i popoli», con riferimento agli accordi di Helsinki: è importante poiché lancia un messaggio gradito a Mosca, la quale, dal 2008, insiste con le controparti occidentali sulla necessità dell’apertura di un negoziato comprensivo per la definizione di un nuovo sistema di sicurezza in Europa, sul modello di quanto avvenne negli anni Settanta.

Il papa ha anche modulato il proprio discorso in relazione al paese ospite, il Kazakistan, dalle «due anime, quella asiatica e quella europea», dove a fianco della maggioranza eponima vive un mosaico di popoli differenti che lo rendono «un laboratorio multi-etnico, multi-culturale e multi-religioso unico». E ha esaltato la vocazione di incontro tra Oriente e Occidente del Kazakistan a cui ha quindi augurato di poter proseguire «nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione per gettare ponti di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture». Un augurio estremamente attuale: la guerra in Ucraina ha rafforzato il nazionalismo dei kazaki etnici aprendo divisioni con la maggioranza dei cittadini, usi ad esprimersi in lingua russa, data anche la presenza di un 20% di russi etnici.

Certe parole del pontefice sono sembrate indirizzate al suo ospite diretto, il presidente Kasym-Zhomart Tokaev. Dopo i gravi disordini d’inizio anno (che hanno causato oltre 200 vittime in dinamiche tuttora non completamente accertate), Tokaev è oggi impegnato in un complesso processo di ricostruzione politica interna. Riferendosi a ciò, Francesco ha dichiarato: «Occorre che la democrazia e la modernizzazione non siano relegati a proclami, ma confluiscano in un concreto servizio al popolo…con particolare attenzione nei riguardi dei lavoratori, dei giovani e delle fasce più deboli. E anche di misure di contrasto alla corruzione».

Un punto cruciale per la situazione del Kazakistan. Il predecessore di Tokaev, l’«eterno presidente» Nursultan Nazarbaev ha retto per trent’anni il paese sulla base di un’autocrazia personale in cui i beni pubblici e le ingenti risorse petrolifere venivano allocati a beneficio quasi esclusivo della sua cerchia famigliare. Tokaev è impegnato a superare le conseguenze di tale regime, smantellando il culto della personalità costruito dal predecessore. Proprio in occasione del Congresso, è stato deciso che da Nur-Sultan la capitale del Kazakistan ritornerà a chiamarsi Astana, come era stato fino al 2019, anno delle dismissioni formali di Nazarbaev.