«Il mio amore per Napoli c’era già da anni, ma da ministro della Cultura ho capito che la città ha delle potenzialità su cui l’Italia deve lavorare per far diventare la cultura una grande risorsa economica» parola del candidato Dario Franceschini, catapultato nel collegio partenopeo, uno di quelli considerati altamente contendibili alla destra. Franceschini spesso inizia le frasi con cultura ma le finisce con turismo, l’impressione è che per lui siano sinonimi. Ieri era in città per un incontro elettorale con gli operatori del settore («Napoli, priorità cultura» il titolo) presente anche il sindaco Gaetano Manfredi. Per dare un tocco di neutralità rispetto alla contesa elettorale (visto che in città sono tanti i ministri, ex ministri e i big candidati) non c’erano le insegne di partito.

«A Napoli c’è creatività e il turismo crescerà, la città ha tutti gli ingredienti di una grande capitale – ha proseguito Franceschini -. Quando pochi mesi fa sono venuti qui i ministri della Cultura del Mediterraneo, tutti hanno riconosciuto questo ruolo di Napoli. E la cultura può creare posti di lavoro. È importante che ci sia una condivisione di obiettivi tra governo centrale e locale. Se guardo i programmi della destra non c’è praticamente nulla, il rischio è che si torni indietro». Messaggio chiaro: sono a rischio i 7 miliardi del Pnrr per il settore.

Ma qual è il modello proposto da chi al dicastero c’è stato otto anni? «A Napoli c’è un concentrato di tutto quello che i viaggiatori si aspettano: arte, storia, sole, mare, cibo, musica e teatro» ha spiegato la scorsa settimana aggiungendo «serve una totale integrazione pubblico-privato». Il modello è quello dei beni pubblici dati alle fondazioni, molto diffuso al nord e duramente contestato dai lavoratori del settore. E poi c’è la nuova ossessione di Franceschini: liberare Palazzo Reale dalla Biblioteca nazionale per trasferirla a Palazzo Fuga. Perché? «Abbiamo messo 100 milioni, l’idea è di affiancare la biblioteca storica a una moderna: ci vogliono degli spazi e a Palazzo Reale non ci sono».

Ieri c’erano gli attivisti di Potere al popolo, i dipendenti della biblioteca e i rappresentanti di «Mi riconosci? Sono un operatore dei beni culturali» a contestarlo: «La Nazionale di Napoli ha una collezione storica di altissimo valore, come i papiri ercolanesi, non ha bisogni di altri spazi ma di personale, le sezioni sono chiuse perché mancano i dipendenti. Perché il ministero non si preoccupa di questo – l’accusa – invece di mettere a rischio un patrimonio inestimabile per un trasloco che serve solo a creare nuovi spazi da affittare ai privati o per iniziative di scarso valore culturale da rifilare ai turisti? la biblioteca moderna a Palazzo Fuga si può fare senza mettere a rischio il patrimonio librario».

Sull’integrazione pubblico-privato raccontano: «Le chiese chiuse dopo il terremoto sono state riaperte affidandole ai privati, si entra solo pagando il biglietto (dai 5 ai 10 euro) – spiega Marina Minniti di Mi riconosci -. In base ai piani del comune, succederà lo stesso con il Cimitero delle Fontanelle e Castel dell’Ovo. Nei principali musei cittadini, diventati autonomi con la riforma Franceschini, i biglietti sono schizzati verso l’alto: all’Archeologico siamo passati da 8 a 18 euro. L’impressione è che non sia più un servizio pubblico ma un’offerta elitaria per i più abbienti e soprattutto per i turisti».

Altro frutto dell’autonomia è la circolazione vorticosa di opere all’estero: «Sempre al Museo Archeologico decine di opere sono andate in prestito per oltre un anno, reperti fragilissimi messi a rischio mandandoli dall’altra parte del mondo. Chi viene a Napoli trova al loro posto le stampe. Capodimonte chiuderà per oltre un anno, 60 opere andranno al Louvre. Il direttore vuole fare un riallestimento completo. Un progetto scientifico non lo vediamo, solo marketing».

Ma Franceschini (che in serata ha incontrato gli attivisti) assicura che è un modello vincente dal punto di vista economico: «I lavoratori sono in condizioni disastrose – spiega Ester Lunardon -, nel pubblico mancano migliaia di unità, a partire da soprintendenze e biblioteche. Le esternalizzazioni dei servizi sono persino peggiorate rispetto agli anni Novanta: a ogni cambio di appalto non si sa cosa succederà, siamo sempre più precari e sottopagati. Partenariato pubblico–privato significa privatizzazione tramite fondazioni che possono aumentare i biglietti e assumere con contratti inadeguati».