Malgrado la spontanea campagna che su Twitter chiedeva alla Dominion di non patteggiare la causa contro Fox News, il processo che avrebbe dovuto misurare la libertà di stampa contro i danni per diffamazione in uno dei casi più eclatanti degli ultimi decenni, è finito prima di iniziare con l’accordo che prevede un risarcimento di 787.5 milioni di dollari a favore della produttrice di tecnologia elettorale diffamata dall’emittente di Rupert Murdoch.

IL MAGNATE australiano è uso scendere a patti quando il gioco non vale la candela – come tutto sommato fece dieci anni fa per lo scandalo delle intercettazioni telefoniche illegali di cui si rese responsabile il suo tabloid inglese, News of the World. Ed era ampiamente prevedibile che lo facesse anche in questo caso che era avviato verso una dolorosa e costosa sentenza dopo una assai pubblica escoriazione.

Oltre all’assegno di ben oltre mezzo miliardo che dovrà staccare, l’accordo costituisce un’implicita ammissione di colpa, anche se gli avvocati Fox hanno dribblato le scuse che molti si aspettavano dovessero far parte del compromesso. «Riconosciamo l’opinione della corte che alcune affermazioni sulla Dominion erano false», afferma il comunicato della società che schiva dunque l’assunzione esplicita di responsabilità, come se le affermazioni si fossero fatte da sole. Senza contare la frase successiva: «La Fox rimane fedele alla massima qualità del proprio giornalismo» (l’anchorman della rivale Cnn, Jake Tapper, l’ha definita «difficile da leggere con una faccia seria».)

SE È INCONTROVERTIBILE che la Fox ha perso, e malamente, l’esito del non-processo lascia un amaro sapore in bocca. Sì, perché, al di là della valutazione nel merito delle specifiche «falsità» (utile eufemismo per menzogna), ed il relativo danno aziendale, il procedimento avrebbe dovuto essere l’occasione per processare gli effetti nefasti della pseudo informazione tendenziosa che la Fox ha elevato a modello industriale. Avrebbe dovuto contribuire insomma ad una resa dei conti urgente che stenta a giungere in ambito politico.

GLI SMS, emersi nella fase pre-processuale, fra dirigenti e anchor di spicco come Sean Hannity, Tucker Carlson e Laura Ingraham, hanno dimostrato la piena consapevolezza della falsità del cospirazionismo trumpista che l’emittente scelse tuttavia di spacciare per news per assecondare il proprio pubblico. Hanno cioè comprovato che quel pubblico, il “mostro” creato dal post giornalismo Fox, vive di vita propria con una smodata influenza politica (in primis la progressiva radicalizzazione del partito di destra). Risarcimento o meno, la maggioranza degli elettori Gop è ancora convinta che le elezioni siano state rubate, compresa la “big lie” sulle macchinette taroccate. Lo stesso partito repubblicano vi basa il proprio programma, infarcito di argomenti copiaincollati dagli editoriali dei mezzibusto Fox su armi, sostituzione etnica, diritti e minoranze. E si appresta con ogni probabilità a riconfermare Donald Trump come proprio candidato presidenziale nelle prossime elezioni che promettono di essere infarcite come mai di bufale, pseudo notizie e post-giornalismo.

L’OCCASIONE sottratta dal patteggiamento è stata quella di mettere infine agli atti processuali – e della storia – l’operazione in tutto il suo cinismo ed i suoi effetti devastanti sul processo politico.
Per i fedelissimi pasciuti dalla linea Fox, la notizia dell’umiliazione dell’emittente non apparirà che come un flash nascosto in fascia secondaria e facilmente archiviata come un depistaggio, probabilmente architettato da uno stato profondo, così senza scrupoli da aver taroccato – come tutti sanno – perfino le macchinette per votare. Le bolle a tenuta stagna delle e le realtà parallele biforcate dalle pseudo news (non certo solo in Usa) non verranno scalfite più di tanto da una vicenda archiviabile adesso come semplice querelle legale fra aziende.
Non era forse realistico aspettarsi che una disputa fra corporation facesse le veci della necessaria risposta politica e giornalistica all’era delle post verità che la Fox ha brevettato e più di tutti contribuito a sdoganare, facendo profumatamente cassa su di una politica ridotta ad amplificatore di rancori e recriminazioni identitarie.

RESTA COMUNQUE per ora l’amarezza di vedere la più grande distributrice di propaganda comprarsi un’assoluzione, cara sì, ma a buon mercato rispetto alla pubblica esposizione che avrebbe dato un processo. E senza soprattutto il pieno beneficio che ne avrebbe derivato la democrazia.