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Foto nel rumore della guerra

Untitled from the series Nadiia, 2023 © Stephan LisowskiUntitled from the series Nadiia, 2023 – © Stephan Lisowski

Ucraina Al Padiglione della cultura di Kiev la mostra fotografica «Essential Goods»: 24 artisti ucraini raccontano gli ultimi dieci anni di conflitto, diventato la loro realtà quotidiana

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 5 giugno 2024

Come stanno insieme una mostra di fotografia e un luogo di guerra? Il 23 maggio presso il palazzo del Padiglione della cultura a Kiev, la capitale dell’Ucraina, dove i bombardamenti russi non cessano, si è aperta la mostra fotografia Essential Goods. Potrebbe sembrare un vezzo, una faccenda superflua intanto che i missili continuano a cadere su Kharkiv e vicinanze. Ma al contrario, anche la fotografia diventa uno strumento di resistenza.

IL TITOLO GIOCA proprio su questo: “Essential goods” ovvero beni di prima necessità. Può essere la fotografia un bene di prima necessità? Per i 24 artisti ucraini che espongono i loro lavori alla mostra, sì. Tenuti a battesimo dal padrino della fotografia ucraina Boris Mikhailov – presente via zoom anche all’inaugurazione – e la cui influenza visiva è ancora fortemente sentita, i progetti selezionati offrono una panoramica sulla nuova generazione di artisti ucraini, rilevante non tanto per la condizione di guerra in cui si trovano, ma per i linguaggi visivi sviluppati.
L’arco temporale in cui sono stati prodotti i lavori è quello dal 2014 al 2024, ovvero gli ultimi dieci anni di guerra, compresi gli ultimi due anni di invasione russa, ed è quindi inevitabile considerare questi progetti anche in tale prospettiva, concentrandosi però su come e cosa gli artisti scelgano di rappresentare quando il conflitto diventa la propria realtà quotidiana.

DEI FOTOGRAFI in mostra, solo due hanno lasciato il Paese, spostandosi in Olanda grazie a borse di studio dell’Accademia d’arte. Dei restanti, all’incirca la metà sono uomini, quindi obbligati a restare dentro il paese per via della legge marziale. Che fare in queste condizioni? Alcuni hanno continuato la propria ricerca artistica restando fedeli a ciò che gli è familiare, come Lesha Berezovskiy che continua a collezionare istanti privati e a indagare la propria quotidianità. Altri hanno cambiato approccio negli ultimi anni, come Sasha Kurmaz, presente in mostra con il lavoro del 2014 Tools of Resistance che ritrae e cataloga gli oggetti usati dagli attivisti durante le proteste di Euromaidan, e che ora utilizza video e linguaggi più sperimentali.

A volte invece le opere affrontano direttamente il conflitto in corso, come nel caso di Nazar Furyk che nella serie Landmark analizza e riflette sulle conseguenze della distruzione dell’architettura sia naturale che civile durante la guerra. Altri lavori si concentrano su momenti quotidiani più tranquilli che convivono con la catastrofe, come la serie Chairs di Elena Subach, che ha fotografato sedie di ogni fattezza e specie utilizzate dagli ucraini in fuga arrivati nei centri di accoglienza dove lei stessa faceva volontariato. Ci sono anche foto che rielaborano la realtà, come la serie Ukrzaliznytsia (del 2017) dell’artista Julie Poly, che grazie al suo lavoro del tempo come capotreno ha messo in scena l’importanza dei treni nella vita quotidiana ucraina, ora ancora più sottolineata dal fatto che è l’unico mezzo disponibile per attraversare lunghe distanze.

IN TAL SENSO questi lavori diventano “beni di prima necessità”: con il sottofondo di una guerra che dura da dieci anni, sono uno strumento di comprensione, di elaborazione e svago lungo un tortuoso percorso attraverso il rumore. Parlano di un’esperienza generazionale e non a caso si fondono e sovrappongono tra loro nell’installazione curata da Sonia Kvasha e Isabella van Marle, accomunate dall’interesse di dare una piattaforma ai 24 artisti.

FINO AL 6 GIUGNO – ma probabilmente verrà prorogata di qualche settimana -, la mostra è al Padiglione della cultura, prima centro per la contaminazione delle arti, poi convertito dal 24 febbraio 2022 in un enorme deposito per gli aiuti umanitari, parzialmente mantenuti nell’installazione. Con questa mostra viene ora restituito alla sua funzione originale e sopratutto alla comunità locale, nonostante tutto.

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