Anche questa volta in Lombardia non c’è stata partita, la vittoria della destra è stata netta e altrettanto netta è stata la sconfitta del centro sinistra. Il presidente uscente Attilio Fontana si attesa attorno al 56%, il centro sinistra e i 5 Stelle con Pierfrancesco Majorino attorno al 33%, il cosiddetto Terzo Polo con Letizia Moratti 9,5% e Mara Ghidorzi di Unione Popolare 1,5%. Il distacco tra la destra e il centro sinistra è stato imponente anche questa volta, un film che i lombardi vedono da circa 30 anni, e ricalca quanto uscito dalle urne il 25 settembre 2022.

Ma queste elezioni regionali saranno ricordate anche per un altro dato, quello dell’astensione record: l’affluenza è stata la più bassa di sempre in Lombardia, ha votato solo il 41,6% degli elettori. L’affluenza più bassa fino ad ora era stata quella del 2010 quando votò il 71,9% dei lombardi, cinque anni fa alle regionali del 2018 l’affluenza era stata del 73,1%.
IL RISULTATO POLITICO però non cambia, anche se votano in pochi stravince la destra. Il centro sinistra non è riuscito a convincerli che un’alternativa alla destra c’era. Anche per i lombardi scontenti di chi ha governato questa regione il centro sinistra non è un’alternativa credibile. Nei mercati tutti si lamentano della sanità lombarda ma quasi nessuno individua nel centro sinistra la soluzione ai suoi problemi. E chi può permetterselo, non pochi nella regione più ricca d’Italia, paga la sanità privata senza troppi patemi d’animo.

Attilio Fontana vince ma gli equilibri nella coalizione di destra si confermano cambiati rispetto allo storico lombardo, terra natale di leghismo e berlusconismo. Fratelli d’Italia è il primo partito con circa il 26%, la Lega con il 16% recupera qualcosa rispetto alle politiche di settembre ma la nuova giunta sarà a trazione FdI. Il vice di Fontana verrà scelto da Giorgia Meloni e Fontana sarà un presidente dimezzato, ogni decisione importante dovrà avere il via libera della premier. Guardando ai risultati di lista il Pd percentualmente tiene: 21%. Male il M5S che crolla al 4% (nel 2018, quando si votò per regionali e politiche, prese il 17%).

L’Alleanza Verdi e Sinistra si aspettava qualcosa in più ma dovrebbe superare il 3% e riportare in consiglio regionale un esponente rossoverde. È andata meglio la lista civica del presidente Majorino che si attesta attorno al 3,5%.
ALTRA GRANDE SCONFITTA Letizia Moratti, l’area centrista percentualmente va peggio delle politiche di settembre, 9,5% e malissimo va la lista Azione/Italia Viva che la sosteneva, 4% circa. Un vero flop personale per Moratti, politico per Renzi e Calenda e di lettura della realtà di chi, lontano dalla Lombardia, proponeva un’assurda alleanza tra Moratti e il centro sinistra. Volendo fare un’analisi politichese queste elezioni confermano che algebricamente per entrare in partita il centro sinistra dovrebbe fare un’alleanza con dentro tutti, da Calenda ai 5S. «Possiamo a questo punto serenamente dire che la scelta del Terzo Polo di sostenere Letizia Moratti è stata una sciocchezza? Col maggioritario a turno secco si è competitivi solo unendo tutto il centrosinistra (sì, pure i 5S).

O lo capite o la destra vincerà ogni volta» ha scritto il sindaco di Bergamo Giorgio Gori rivolto a Renzi e Calenda. Letizia Moratti non entrerà neanche in consiglio regionale. Non entrerà neanche Unione Popolare, la candidata presidente Mara Ghidorzi si è ferma attorno all’1,5%. «Anche se non entriamo, per noi era importante esserci, dobbiamo radicarci su territorio» ha commentato Ghidorzi.
QUESTE REGIONALI dicono anche che inizia a incrinarsi la narrazione secondo cui le città votano a sinistra e la provincia a destra. Tra i capoluoghi di provincia Majorino vince solo a Brescia, Bergamo, Mantova e Milano. Nel capoluogo lombardo Majorino prende il 47% circa, Fontana il 37%, Moratti il 13%, Ghidorzi l’1,6%. Majorino si dimetterà dal parlamento europeo e resterà a fare opposizione in consiglio regionale. «È stata una vittoria netta della destra, il Terzo polo rifletta sulla scelta che ha portato a sostenere Moratti» ha commentato Majorino. Poi una considerazione sul suo partito, il Pd: «Non aver avuto un leader a livello nazionale non ci ha aiutato. Rimane il rammarico di aver presentato il candidato due mesi prima del voto».