«Le Rems non sono la soluzione per i cosiddetti folli-rei. Quando abbiamo chiuso gli Ospedali psichiatrici giudiziari abbiamo operato un cambio di prospettiva, una vera e propria rivoluzione epocale sul tema dei malati psichiatrici internati o detenuti per aver commesso dei reati. Una rivoluzione che va portata fino in fondo riformando tutto il sistema, dal territorio al carcere, e non solo una parte. Si può, si deve, creare un sistema di salute mentale e giudiziario di comunità». Il dr. Pietro Pellegrini, dal 2012 direttore del Dipartimento salute mentale dell’Ausl di Parma e portavoce del Coordinamento nazionale delle Rems, non è d’accordo con chi – anche sul manifesto – ha sostenuto la necessità di aumentale il numero di posti nelle Residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza che sono parte del sistema di smantellamento degli Ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi definitivamente nel 2017.

Direttore, partiamo dai numeri: ci sono tra 750 (secondo il Dap) e 578 (per la Conferenza delle Regioni) malati psichici in attesa di un posto nelle Rems. Ritiene corretti questi dati?

I numeri sono corretti, ma va premesso che le Rems non hanno sostituito gli Opg perché la legge 81 che li ha smantellati dice che le Rems sono «soluzioni residuali» e che gli Opg vanno sostituiti con un sistema di salute mentale e giudiziaria di comunità. Perciò rapportare il numero di posti letto che c’erano negli Opg con quelli delle Rems è del tutto scorretto. D’altronde i pazienti dimessi dalle Rems vengono assorbiti dal sistema di comunità, che si stima riesca oggi a seguire 4200 pazienti sul territorio.

Dove vivono questi pazienti?

Nelle strutture residenziali o a casa loro, perché in molti casi hanno misure, come la libertà vigilata che per la legge 81 ha priorità nell’applicazione. E sono seguiti dal sistema di welfare.

Che, secondo lei, attualmente è sufficiente a garantire il diritto alla cure per i malati rei che attendono in carcere?

Il sistema va completato, sia sul piano normativo che su quello territoriale. Gli Opg sono stati aperti nel 1872, sono durati circa 150 anni, e adesso nel giro di pochi anni siamo riusciti a chiuderli, perciò è ovvio che il sistema sia ancora da affinare. Ma non bisogna farlo pensando, come unica soluzione, alle Rems. Questa deve rimanere una soluzione residuale, valutata da ciascuna Regione in base alla necessità ultima dei territori.

Perché la Consulta ha invitato il legislatore ad «eliminare al più presto» i «numerosi profili» di incostituzionalità riscontrati nell’«applicazione delle norme sulle Rems»?

Ha ragione, bisogna investire e cambiare profondamente il sistema. Ma la questione non va affrontata solo con i posti nelle Rems, perché per quanti posti costruiremo, tanti ne useremo. E alla fine, pur cambiandogli il nome, avremo di nuovo dei piccoli Opg. Bisogna creare invece un sistema unitario in grado di assicurare il diritto alla salute e alla giustizia, a prescindere dallo stato giuridico. Cominciamo a riflettere sul livello dei servizi e dei diritti nelle carceri dove il tasso dei suicidi è 13 volte maggiore che fuori. Purtroppo la Consulta, nel suo ragionamento, nemmeno cita le articolazioni di tutela della salute mentale negli istituti di pena, che pure ci sono.

Ma se ieri a Torino un detenuto malato di Sla è riuscito ad ottenere i domiciliari dopo ben 12 istanze, e se una parte di detenuti in attesa di sentenza, soprattutto stranieri, non riesce ad ottenere le misure alternative perché mancano i luoghi dove scontarle, cosa ne facciamo ora dei “folli-rei” che attendono già da troppo tempo un posto dove curarsi e che quasi mai, per ovvie ragioni, possono essere riaffidati alle proprie famiglie (come sottolineato anche dalla Corte Edu)?

Sono favorevole ad investire su misure diverse da quelle detentive: attualmente sulle Rems si spendono 55 milioni, nel Decreto energia il fondo è stato aumentato di un milione a partire dal 2025. E invece prima bisognerebbe fare altro, a basso costo, come le intese con i magistrati, la formazione, gli osservatori… E poi bisogna strutturare misure alternative e cercare soluzioni personalizzate: la moderna psichiatria (che oggi non è la stessa di venti anni fa) declinerà il proprio intervento sul “folle-reo” e lo stesso farà la giustizia. In carcere oggi ci sono due tipi di malati mentali: quelli – la maggior parte – che sono imputabili perché la loro malattia non incide sulla capacità di intendere e volere (e si possono gestire con misure alternative), e quelli che non sono imputabili. Questi ultimi si dividono in due categorie: quelli sottoposti a misure di sicurezza detentive provvisorie, che andrebbero abolite perché non consentono neppure le modalità alternative e perché sono prive delle garanzie assicurate ai provvedimenti cautelari; e quelli con misure di sicurezza definitive. Questi, a luglio, secondo la ministra Cartabia, erano 64; a febbraio si sono ridotti a 6, ma nel frattempo la lista si è allungata a 45 persone in attesa, molte delle quali però sono sottoposte appunto a misure di sicurezza provvisorie.

Quali sono le vostre proposte di legge?

Ogni persona deve essere imputabile, sempre. Se è malato, fisicamente o psichicamente, sarà sottoposto a cure e a pene alternative. Va adeguato il codice penale che fa ancora riferimento alla legge 36 del 1904, come propone la Pdl 2939 dell’on. Riccardo Magi.

Sulle Rems dovrebbe avere competenza anche il ministero di Giustizia?

No. Le Rems devono rimanere sotto l’egida sanitaria e la Giustizia deve solo dire quali sono gli interventi di propria competenza riguardo l’autore del reato.