Fitzgerald, notizie dalla scena primaria
Carteggi letterari Ritratto, con molti inediti, della coppia Scott-Zelda Fitzgerald, radicata nei litigi, nell’invidia, nei tradimenti. Lettere, fra loro e non: «La parte inventata della vita», da Feltrinelli
Carteggi letterari Ritratto, con molti inediti, della coppia Scott-Zelda Fitzgerald, radicata nei litigi, nell’invidia, nei tradimenti. Lettere, fra loro e non: «La parte inventata della vita», da Feltrinelli
Era il 24 ottobre 1929 quando, dopo un decennio di boom finanziario, il crack della Borsa di New York annunciava una crisi economica che avrebbe precipitato gran parte della popolazione americana ben al di sotto della soglia di povertà, segnando la fine di un’era di benessere, sogni ed eccessi della quale la coppia glamour composta da Francis Scott Fitzgerald e Zelda Sayre era l’autentica icona.
In quello stesso ottobre i Fitzgerald si erano appena stabiliti, insieme alla figlia Scottie, in un appartamento al numero 10 di Rue de Pergolèse, a Parigi: solo sei mesi dopo, il 23 aprile del 1930, Zelda sarebbe stata ricoverata all’ospedale Malmaison in preda a uno stato d’ansia accompagnato da un forte malessere. Ne uscì dieci giorni dopo, contro il parere dei medici, e tentò quasi subito il suicidio, cui sarebbe seguito un nuovo, lungo ricovero in una serie di cliniche svizzere. Nel 1931 rientrò insieme al marito e alla figlia negli Stati Uniti, ma il suo percorso ospedaliero riprese quasi immediatamente, fino al ricovero allo Highland Hospital di Asheville, nel North Carolina, dove avrebbe trascorso – a eccezione di pochi intervalli – i suoi ultimi tredici anni di vita, e dove morì nel 1949 nove anni dopo la scomparsa di Scott, stroncato da un infarto dopo un lungo declino fisico provocato in larga misura dall’alcolismo.
Il buio che scendeva sull’America e sembrava stroncarne definitivamente i sogni di gloria avvolse dunque anche la coppia che dei «ruggenti anni Venti», o dell’ «Età del Jazz», era stata uno dei simboli, per poi precipitare in un gorgo di follia e di recriminazioni reciproche.
Ora, di quel decennio fatale e della fase finale di una carriera letteraria «bruciata» in soli vent’anni, è possibile conoscere i passaggi più significativi grazie a un volume epistolare di grandissima qualità – La parte inventata della vita (Feltrinelli, pp. 320, € 22,00), costruito e curato da Sara Antonelli con una passione pari solo al rigore e alla sua competenza. La selezione non si limita a proporre al lettore gli scambi intercorsi tra Fitzgerald e Sayre tra il 1930 e il 1940, ma offre un compendio ben più ampio, riproducendo la straordinaria e intensa corrispondenza che Scott intrattenne con gli psichiatri che avevano in cura la moglie; con la figlia Scottie; con il suo editor storico Maxwell Perkins e con il suo agente Harold Ober; con l’amico-rivale Hemingway; con Gerald e Sara Murphy, i ricchi espatriati americani che aveva frequentato lungamente insieme a Zelda e che avevano ispirato i personaggi di Dick Diver e Nicole Warren, protagonisti di Tenera è la notte.
Il ritratto che emerge da questo ricchissimo epistolario è prima di tutto quello di una coppia che – prima ancora di consolidarsi in quanto tale – trovava nello scontro, nella recriminazione, nel tradimento reciproco (se reale o gonfiato ad arte, poco importa) la radice stessa della propria, sempre più difficile sopravvivenza. Come osserva Antonelli nella postfazione al volume, fu il temporaneo rifiuto da parte di Zelda di sposare uno Scott giovane, spiantato, ambizioso ma ancora privo di prospettive, a scatenare in Fitzgerald la creatività e il fuoco d’artificio di invenzioni che scandiscono la prima fase della sua carriera. Che si tratti dei racconti di Maschiette e filosofi o dei primi due romanzi, Di qua dal paradiso e Belli e dannati, gli intrecci narrativi ruotano spesso attorno al tentativo di conquistare una donna che è l’incarnazione vivente della flapper degli anni Venti; tentativo spesso risolto in una delusione sentimentale o in un più profondo fallimento morale e umano.
Le coppie che attraversano la narrativa di Fitzgerald – dai protagonisti di Belli e dannati, Anthony Patch e Gloria Gilbert, a Tom e Daisy Buchanan nel Grande Gatsby, fino a Dick e Nicole in Tenera è la notte – sono altrettante elaborazioni di una stessa scena primaria, che è e rimane quella di Scott e Zelda, ma che viene trasfigurata dalla forza dello stile e della struttura.
C’è un momento specifico, all’interno di questo volume, nel quale il senso dell’intera architettura narrativa edificata da Fitzgerald traspare in modo esemplare, e risale al marzo 1932, quando Zelda, ricoverata alla Phipps Clinic di Baltimora, scrive una prima versione di quello che sarebbe diventato il suo unico romanzo pubblicato in vita, Lasciami l’ultimo valzer, e la invia direttamente a Maxwell Perkins, senza passare per Scott.
Quando legge il manoscritto, Fitzgerald monta su tutte le furie, e la rabbia provocata dall’esperimento leNotizie dalla scena primaritterario di Zelda trova sfogo in una lettera alla psichiatra che ha in cura sua moglie, nella quale vengono sottolineate due questioni fondamentali: in primo luogo, dalla primavera del 1930 Scott ha scritto cinquantamila parole del suo nuovo progetto narrativo «e Zelda le ha ascoltate, tanto che un’intera sezione del suo romanzo è letteralmente un’imitazione di quel ritmo, di quei materiali, addirittura delle descrizioni e dei dialoghi». In secondo luogo, il manoscritto di Zelda tende ad analizzare la vita della coppia con atteggiamento ostile, «e l’unico scopo di questa specie di ritratto inconsistente è fare di me una nullità».
Seguendo le indicazioni del marito, Zelda accetterà di modificare il manoscritto e Lasciami l’ultimo valzer verrà pubblicato da Scribner’s il 7 ottobre del 1932, senza suscitare quasi alcun interesse. Ci vorranno invece altri due anni perché Tenera è la notte veda la luce, e anche la sua sorte non sarà delle più felici. Scott troverà comunque il modo di spiegare con estrema chiarezza la differenza tra le due opere, che a suo giudizio sta tutta nell’uso del materiale autobiografico e nella capacità di sublimarlo e farlo divenire altro, della quale Zelda si sarebbe dimostrata gravemente carente. Cosi scrive in una lettera alla moglie del 1932, pervenuta sotto forma di frammento: «Quello che uno esprime in un’opera d’arte è l’oscuro tragico destino di essere strumento di qualcosa di incompreso, incomprensibile, ignoto – tu sei arrivata alla soglia di quella scoperta + poi hai deciso contro ogni logica che volevi frantumare la barriera. Sei riuscita solo a frantumare te stessa, me quasi, + Scottie, se non mi fossi messo in mezzo».
Impegnato per tutta la vita a traghettare le proprie storie oltre la mera espressione di sé e verso una sorta di paradossale autobiografismo impersonale, Scott non avrebbe mai potuto accettare che Zelda lo privasse del materiale sul quale intendeva operare l’ennesima trasfigurazione. Né avrebbe accettato, per le stesse ragioni, le accuse dell’amico/rivale Hemingway, che, sollecitato dallo stesso Fitzgerald a esprimere un giudizio su Tenera è la notte, in una lettera anch’essa inclusa in questo volume lo accusò di «imbrogliare», perché aveva attribuito ai protagonisti, modellati in parte significativa su Gerald e Sara Murphy, «un passato che non gli appartiene, trasformandoli in altre persone».
Era proprio questo lo scopo che Fitzgerald inseguiva con sempre maggiore determinazione: usare «diversi marmi» per modellare i suoi personaggi; ovvero, come avrebbe scritto a Sara Murphy, utilizzare almeno «una mezza dozzina di persone per arrivare alla sintesi che serve a creare un personaggio romanzesco», capace di trascendere il dato contingente e diventare davvero l’incarnazione di un’epoca, del suo fascino e del suo fallimento.
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