Se Draghi se ne va è perché non ha né la cultura, né gli strumenti, per affrontare la drammatica crisi sociale che colpisce il Paese. Draghi e chi lo ha scelto pensava ad un percorso in discesa. La crescita impetuosa del Pil dopo la pandemia, il Pnrr da spendere, permettevano di pensare ad una crescita tutta dentro il modello neo liberista. Senza bisogno di misure redistributive stringenti.

Aiutare le imprese a crescere, permettere e agevolare la crescita dei profitti, avrebbero potuto permettere un aumento di ricchezza che poteva sgocciolare anche sui più poveri. E di accantonare o rinviare le questioni che ostacolavano questa presunta crescita della ricchezza. La questione ambientale, il reddito di cittadinanza, una riforma fiscale davvero progressiva, la priorità degli investimenti nei bei pubblici essenziali- dalla scuola, alla sanità, alla cultura- sostituiti magari da qualche bonus alle persone. Draghi per questo era l’uomo adatto. Il suo atlantismo economico, sociale, militare, era a prova di bomba. Esente dalle velleità redistributive e di maggior autonomia sul fronte della politica estera che avevano, sia pur contraddittoriamente, caratterizzato il Conte bis.

La guerra scatenata da Putin in Ucraina è servita ancora di più a enfatizzare questa tendenza. A far ridiventare prioritari il carbone, il petrolio, il gas e il nucleare a scapito di un impegno serio ed esclusivo sulle energie rinnovabili; di sopperire alla più lenta crescita del Pil enfatizzando le tendenze alla privatizzazione di beni pubblici e servizi; a metter tra parentesi la lotta alla povertà crescente non solo di chi è disoccupato, ma anche di chi vive del proprio lavoro e della propria pensione.

Ma le questioni non affrontate ormai esplodono sempre più rapidamente. I disastri del riscaldamento climatico non sono più una ipotesi, sono una tragica realtà, che si esprime con ondate di calore ed una siccità senza precedenti; il rincaro dei generi alimentari in gran parte dovuto proprio alla siccità si unisce al rincaro dell’energia; aumenta il numero dei poveri mentre crescono i superprofitti di chi specula sulla scarsità di energia e di beni di prima necessità, e di chi ha investito e investe nella industria degli armamenti.

I soldi del Pnrr sono insufficienti e addirittura inutili se non accompagnati da politiche nazionali di investimento sulle politiche industriali, sulla scuola, sulla ricerca, sulla sanità, che richiedono l’attivazione di risorse possibili solo tassando i superprofitti, i beni voluttuari, combattendo sul serio l’evasione fiscale. Investendo il massimo delle risorse disponibili sulle energie rinnovabili, accantonando i progetti costosi ed inutili sul nucleare o su nuove gassificazioni. In breve, facendo delle scelte.

Interventi strutturali difficili per uno come Draghi, autorevole ed efficiente, ma chiamato a quel ruolo proprio per non scegliere, ma per accompagnare il progressivo ritorno dell’Italia nel quadro tranquillo dell’economia prepandemica. Senza nuove tasse, senza turbare gli storici equilibri- si fa per dire- che regolano nel nostro Paese i differenziali di reddito, di potere, di sapere fra i ricchi e i poveri.

E’ probabilmente di fronte al fatto della impossibilità e della sua incapacità a svolgere questo compito che Draghi decida di lasciare. Per gestire non la crescita economica ma il crescere della povertà e delle emarginazione sociale, per affrontare le cause di fondo del dramma della siccità, per spingere l’Europa ad esercitare un ruolo autonomo per la pace in Ucraina, svincolandosi da un atlantismo senza se e senza ma, Draghi non ha né l’intelligenza né il cuore. Prima che le contraddizioni esplodano meglio scegliere di farsi da parte, costruendo le condizioni per rendere irreversibile la sua scelta.

«Senza i 5Stelle io non governo», mentre una parte consistente della sua maggioranza tuona che è disponibile a continuare a sostenere il governo solo se i 5Stelle saranno messi alla porta. Conte e i 5Stelle, che pure hanno il merito di avere proposto a Draghi una agenda ambientale e sociale, si sono però mossi in modo tale da favorirne la possibilità di fuga. E proprio mentre era incalzato dalle organizzazioni sindacali a fare scelte che andavano in gran parte nella direzione indicata dai 9 punti dei Pentastellati.

Maurizio Landini ha detto chiaramente che l’incontro fra Draghi e i sindacati è stato insufficiente a dare risposte alle loro richieste. E tutti i sindacati ammoniscono il governo sulla necessità di un confronto stringente prima della legge di bilancio, in cui su quelle questioni dovranno esserci scelte concreate e misurabili. Su queste scelte era possibile provare a coinvolgere il Pd, e rilanciare sui contenuti il sedicente campo largo.

Draghi presidente stava per essere messo con le spalle al muro da un vasto fronte radicato nel sociale. E dalla consapevolezza crescente che senza scelte la situazione in autunno rischia di essere ingovernabile, economicamente, ambientalmente, socialmente. Le mosse un po’ avventate e improvvisate di Conte gli hanno permesso di sottrarsi al confronto. Sarebbe il caso di ripensarci.