«Per limitare gli affitti brevi gli strumenti sono pochi ma esistono. Firenze è l’unico comune ad avere dimostrato la volontà politica di farlo. Ma va detto che, fuori dall’Italia, le stesse misure sono state prese con 10 anni di anticipo». Lo afferma Filippo Celata, docente di geografia economica all’Università La Sapienza, commentando la recente delibera di Palazzo Vecchio che blocca le locazioni brevi in centro storico.

La giunta Nardella aveva già approvato un provvedimento in questo senso, ma il 10 luglio il Tar toscana lo aveva annullato per vizi di forma. I giudici non hanno contestato i contenuti della norma, ma solo le modalità con cui era stata approvata; perciò il comune con la nuova sindaca Funaro ha licenziato una nuova delibera. «Anche se tardivo, si tratta di un intervento apprezzabile», sostiene Celata. «Molti sindaci stavano aspettando di conoscere le decisioni di Firenze e ora hanno un esempio da seguire». La norma vieta la registrazione di nuovi alloggi per affitti brevi, non è retroattiva e vale solo per il centro storico, dichiarato patrimonio Unesco.

Qui negli ultimi anni è avvenuta una massiccia sottrazione di appartamenti al mercato residenziale, per offrirli ai turisti attraverso piattaforme come Airbnb. In base ai dati di Inside Airbnb, gli annunci sono passati dai circa 1.500 del 2013 agli oltre 12.000 di oggi. Di conseguenza, sono avvenuti i rialzi dei prezzi nel mercato immobiliare e il diffuso esodo dei cittadini, soprattutto tra le fasce meno abbienti. Dal 2000 oltre 140mila persone hanno abbandonato la città, che oggi conta poco più di 360mila residenti contro 7,5 milioni di turisti all’anno. Secondo il Centro studi turistici di Firenze, a questi vanno sommati circa 3,5 milioni di visitatori giornalieri, più difficili da censire ma che contribuiscono al sovraffollamento.

Col blocco degli affitti brevi, il comune sta tentando di ristabilire l’equilibrio perduto. Tuttavia, sottolinea Celata, «avere limitato gli effetti della delibera al solo centro storico comporta un rischio, quello di congelare la situazione esistente nell’area Unesco e consentire che il fenomeno delle locazioni turistiche si espanda alle zone più periferiche». Secondo il docente, bisognerebbe fare di più: «Le regioni hanno un ampio potere di governo del territorio, ma spesso non lo usano. Ad oggi non esistono adeguate norme regionali sulla ricettività e la pianificazione urbanistica, che potrebbero fare molto più dei singoli comuni e dello Stato, per risolvere la mastodontica crisi abitativa in corso».

Secondo Celata, il tema degli affitti brevi «non riguarda il turismo, bensì il governo del territorio. Le locazioni sono diventate il capro espiatorio di molte critiche contro il fenomeno turistico, ma restano molti altri nodi irrisolti. Come l’omologazione dell’offerta commerciale, con l’apertura di luoghi di consumo quali bar, ristoranti e negozi di souvenir che soppiantano alimentari, parrucchieri, estetisti, edicole e altri servizi per gli abitanti».

Ma il governo non sembra preoccuparsi di tutto ciò: «L’Italia è l’unico paese occidentale senza alcuna seria regolamentazione del fenomeno turistico», conclude Celata. «Limitare gli affitti brevi è indispensabile, ma potrebbe essere troppo tardi, poiché gli effetti già prodotti sono difficilmente reversibili. Anche per questo, occorre alzare la posta in gioco. La politica favorisce solo chi è già proprietario di case o può comprarsele, ma le persone a basso reddito si rivolgono sempre di più al mercato degli affitti, che invece è stato abbandonato a se stesso. In parallelo, sarebbe opportuno iniziare a limitare la capacità ricettiva dei luoghi più turistificati, come stanno provando a fare in Sud Tirolo, ma mantenendo un’offerta diversificata adatta anche alle tasche dei turisti a basso reddito. Il problema della casa ha a che fare non tanto con i centri storici, ma in generale con la città».

Per concludere: «Siamo bravissimi a tutelare i monumenti, ma non facciamo nulla per governare le trasformazioni urbane, tranne promuovere le peggiori. Il punto è tornare a pensare e pianificare le città come luoghi dell’abitare, non come dispositivi per attrarre investimenti ed estrarre ricchezza».