A riempire il vuoto, in mancanza di una legge che garantisca a tutti il diritto di scegliere come morire, è ancora una volta un tribunale. Stavolta quello di Trieste, che ha condannato l’azienda sanitaria del Friuli Venezia Giulia per non aver offerto il servizio pubblico dovuto alla 49enne triestina Martina Oppelli. Architetta, tetraplegica e affetta da sclerosi multipla, la donna aveva chiesto l’accesso al suicidio medicalmente assistito ma otto mesi fa aveva ottenuto un rifiuto dall’Azienda sanitaria universitaria giuliano isontina (Asugi) che l’aveva ritenuta non idonea per mancanza – così scriveva – del requisito del trattamento di sostegno vitale. Requisito previsto dalla Corte costituzionale nella storica sentenza 242 del 2019 Cappato-Dj Fabo.

Ora l’Asugi, per imposizione dei giudici, dovrà rivalutare entro 30 giorni la sua decisione verificando nuovamente le condizioni della signora che, riferisce l’associazione Coscioni, «senza l’aiuto di tre persone non può mangiare, bere, muoversi e neanche assumere i farmaci di cui ha bisogno». L’Asugi dovrà anche «pagare 500 euro a Martina per giorno di ritardo oltre a spese di giudizio».

Tramite l’avvocata Filomena Gallo, segretaria della Coscioni, dopo il rifiuto dell’azienda sanitaria friulana la donna aveva presentato ricorso. Ma l’Asugi aveva risposto che «non sussistono i presupposti per la rivalutazione delle condizioni di salute della signora Oppelli» e che «non sussiste alcun obbligo dell’amministrazione di provvedere in merito alla richiesta di revisione del precedente parere». Le condizioni di Martina, che assume ogni giorno una corposa terapia, anche per il dolore, e ha bisogno di assistenza continuativa, sono nel frattempo peggiorate.

Ieri ha commentato così la sentenza: «Karl Kraus scriveva “Chi ha qualcosa da dire? Faccia un passo avanti e taccia”. Io quel passo non posso più farlo, dunque parlo. La decisione del Tribunale di Trieste denota grande sensibilità di chi ha saputo riconoscere il dolore in una creatura che, nonostante tutto, conserva sempre il sorriso sul viso. Ora vorrei che questo mio piccolo movimento immobile scuotesse le coscienze di chi ha la capacità e il potere di aprire varchi legali in muri che sembrano invalicabili».

«Ancora una volta sono i giudici a doversi sostituire all’inerzia della politica», fa notare Marco Cappato. Mentre la deputata dem friulana Debora Serracchiani sottolinea che «il ripetersi di situazioni come questa è il segno che siamo di fronte a una vera e propria questione sociale oltre che umana, e a una sordità della politica che non trova scuse. Non si può continuare a ottenere diritti “caso per caso” nei tribunali con lotte di avvocati». Sul requisito del sostegno vitale si pronuncerà a breve la Consulta che ha rinviato la decisione dopo l’udienza del 19 giugno.