Bisognerà aspettare ancora per avere una parola, si spera definitiva, della Corte costituzionale sul fine vita. Attesa inizialmente per ieri, la sentenza della Consulta – chiamata ad esprimersi per la seconda volta sul suicidio medicalmente assistito dopo il caso di Dj Fabio – è slittata infatti di alcune settimane, chiaro segnale della complessità rappresentata da un tema così delicato. Questa volta la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal gip di Firenze, riguarda un’interpretazione più ampia delle indicazioni date dalla stessa Consulta proprio sul caso di Dj Fabio stabilendo che per poter accedere legalmente all’aiuto medico per la morte volontaria il malato deve essere dipendente – tra le altre cose – da trattamenti di sostegno vitale. Condizione non presente nel caso di Massimiliano, toscano di 44 anni affetto da sclerosi multipla che nel dicembre del 2022, con un atto di disobbedienza civile, venne accompagnato a morire in Svizzera dal tesoriere dell’associazione Luca Coscioni Marco Cappato con Chiara Lalli e Felicetta Maltese. Scagionati inizialmente dalla procura, decisione all’origine del ricorso presentato dal gip, nel caso di un interpretazione restrittiva da parte della Corte, i tre rischiano fino a 12 anni di carcere. «Abbiamo aiutato Massimiliano perché sentivamo fosse nostro dovere farlo, per interrompere una situazione di tortura alla quale era sottoposto», ha spiegato ieri Cappato al termine dell’udienza.

Il nodo che i giudici sono chiamati a sciogliere riguarda proprio la dipendenza o meno del malato da trattamenti di sostegno vitale. Una condizione imprescindibile per l’avvocato dello Stato Ruggero Di Martino, convinto che le cure palliative, «come strumento utile per eliminare le sofferenze, sono la soluzione giusta per venire incontro alle esigenze rappresentate». Con la sentenza pronunciata nel 2019 proprio per il caso di Dj Fabio, ha spiegato Ruggero, «la Corte ha ritenuto decisiva la circostanza del trattamento sanitario costituito dall’impiego di macchinari che sopperiscono ai deficit della persona. Tutto questo non è estendibile ad altre ipotesi, perché un allargamento equivarrebbe a una liberalizzazione».

Tesi contestata dall’avvocato Filomena Gallo che assiste Cappato, Maltese e Lalli, per la quale a essere in discussione non sarebbe il diritto a morire, «ma la discriminazione esistente tra diversi malati sul suicidio assistito. Il diritto a morire cambia in base al trattamento di sostegno vitale». Per Gallo, «l’aiuto al suicidio assistito non è solo uno strumento per alleviare le sofferenze fisiche e psichiche ma consente di congedarsi dalla vita come si ritiene dignitoso».

Presente in aula anche Laura Santi, un’altra esponente dell’associazione Luca Coscioni venuta appositamente da Perugia per portare la sua testimonianza. 49 anni, da più di venti è affetta da sclerosi multipla progressiva. «Il mio corpo si sta immobilizzando sempre più, ho dolori, ieri sera hanno impiegato tre ore per vestirmi» ha raccontato. «Da sola morirei di sete e di fame nel mio letto. Quello che mi viene dato non è un trattamento di sostegno vitale? Si tratta solo di ampliare l’interpretazione. Chiedo solo – ha concluso – la libertà di avere un piano B».