La parola fine alla storia giudiziaria della trattativa Stato-mafia la mette la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, annullando senza rinvio le condanne dei boss mafiosi e confermando le assoluzioni dei politici e dei carabinieri del Ros. Un finale inglorioso per la procura di Palermo (quella del 2012, Ingroia e Di Matteo i pm protagonisti dell’accusa), per quanto annunciato dalla sentenza di appello e prima dalle assoluzioni definitive in processi paralleli di Calogero Mannino, il politico Dc presunto motore della trattativa, e dei Ros dei Carabinieri che sarebbero stati il tramite dello scambio criminale la mafia.

Se il processo di appello aveva ribaltato le condanne di primo grado, assolvendo Dell’Utri per non aver commesso il fatto, i Ros Mori, Subranni e De Donno perché il fatto non costituiva reato, condannando solo i boss mafiosi Bagarella e Cinà (il medico mafioso che ha protetto la latitanza di Riina e Provenzano), la Cassazione è andata oltre. Oltre anche le richieste della procura generale, per la quale bisognava rinviare gli atti all’appello in quanto le accuse ai boss mafiosi non erano sufficientemente provate. La sesta sezione penale ha deciso invece di confermare l’assoluzione di Dell’Utri accogliendo le tesi dell’appello: l’ex senatore non avrebbe trasferito le richieste di Cosa nostra a Berlusconi, presidente del Consiglio. Assolti anche i carabinieri del Ros, ma questa volta con formula piena. Se per l’appello avevano sì preso parte nella trattativa, veicolando le richieste dei mafiosi, ma solo al fine di interromper le stragi e dunque il fatto non costituiva reato, per la suprema Corte va «esclusa ogni responsabilità degli ufficiali negando ogni ipotesi di concorso nel reato tentato di minaccia a corpo politico». Sorte migliore anche per i boss della mafia, anche per loro il processo trattativa si chiude qui. Al posto del rinvio, infatti, gli ermellini hanno riqualificato il reato: non più minaccia a corpo dello stato ma tentata minaccia, dunque pena edittale più bassa e, come da comunicato,la Cassazione «ha dichiarato la prescrizione nei confronti di Leoluca Bagarella e Antonino Cinà in relazione alle minacce ai danni dei governi Ciampi e Amato, essendo decorsi oltre 22 anni dalla consumazione del reato tentato».

Fiammetta Borsellino
Questo processo, come altri prima, è stato celebrato fuori dalle aule di giustizia e questo è un male. C’è chi ha costruito la sua carriera immeritatamente su questo processo

La verità giudiziaria è che ci fu solo un tentativo di trattativa. La Cassazione ha confermato infatti «la decisione della Corte di assise di appello di Palermo nella parte in cui ha riconosciuto che negli anni 1992-1994 i vertici di Cosa nostra cercarono di condizionare con minacce i governi Amato, Ciampi e Berlusconi, prospettando la prosecuzione dell’attività stragista se non fossero intervenute modifiche nel trattamento penitenziario per i condannati per reati di mafia ed altre misure in favore dell’associazione criminosa».

Per l’avvocato dei Ros, Vittorio Manes, «è stato definitivamente chiarito che hanno agito nel pieno rispetto delle leggi e dei loro doveri, anche a costo della propria incolumità, pur di difendere lo stato dalla violenza stragista». «Questo processo, come altri prima, è stato celebrato fuori dalle aule di giustizia e questo è un male – ha commentato Fiammetta Borsellino, figlia minore del giudice Paolo – e c’è chi ha costruito la sua carriera immeritatamente su questo processo». Non vacilla l’ex pm Ingroia, oggi avvocato: «L’esito di questa vicenda processuale non è incoraggiante per i cittadini. La sentenza ha acclarato che si è tentato di porre sotto minaccia lo stato, che c’è stata una trattativa, ma lo stato ha deciso di auto assolversi».